Quello che i figli non dicono…

tappeto2Qualche giorno fa ho letto questo avviso sul diario di Marco: “Giorno 27 maggio alle ore 17:00 tutti i genitori sono invitati a scuola per ammirare i lavori del progetto di arte realizzati durante l’anno”.

La mia prima reazione (ammetto profondamente egoistica) è stata: “Cavolo, alle cinque del pomeriggio… uff. Altro permesso. Potevano almeno organizzarlo per le sei! Ma gli altri genitori non lavorano?…”

Presa dai mille doveri, dai mille impegni, l’avviso così come l’ho letto, l’ho dimenticato.

Ultimamente, lo ammetto, sto perdendo colpi e sto perdendo anche pezzi…
Sarà l’età che avanza, sarà la memoria che mi abbandona… Ma il risultato è mestamente sconsolante.

Per fortuna ieri, sul diario, avevano scritto un secondo avviso: “L’uscita degli alunni è regolare, alle 16.30. Poi alle 17:00 i genitori e i bambini potranno entrare”

“Caspita! E’ vero, l’appuntamento a scuola!…”
Allora ho chiamato la tata avvisandola. E una volta arrivata in ufficio ho chiesto al mio responsabile il permesso di uscire prima.

Ma come puntualmente accade ogni volta, ci sono stati piccoli imprevisti, piccoli ritardi, piccole sviste e così alle cinque ero ancora seduta esattamente qui, da dove adesso vi sto scrivendo.

Alle 5 e 10 ancora qui. Alle 5 e un quarto sempre qui. Alle cinque e venti ho spento il pc in maniera brutale, senza neanche chiudere le applicazioni aperte e sono scappata. Ascensore più lento di una lumaca. Ho preso l’auto. Via di corsa.
E invece no. Un vecchietto davanti andava a 20 all’ora con la sua Panda su una strada piena di curve, impossibile sorpassare. ARGHHHHHH….
Sono arrivata a scuola alle cinque e mezza passate. Per fortuna lavoro a due passi da casa…

A terra c’era un tappeto lungo, colorato, stupendo. Ho subito scattato una foto, ma vi assicuro che dal vivo era ancora più bello. Tutti i bambini seduti sul bordo e i genitori alle loro spalle in piedi.

L’autrice del corso d’arte aveva spiegato per bene tutto il lavoro fatto dai piccoli artisti durante l’anno.

Io sono riuscita ad ascoltare solo gli ultimi due minuti e a fare l’applauso finale. Lungo, scrosciante, meritato.

Cercavo con lo sguardo Marco tra la folla. Ma non riuscivo a vederlo. Poi ho riconosciuto le sue scarpe. C’erano altri bambini davanti, non era facile farsi vedere.

Così ho sperato che non si fosse accorto del mio ritardo.

Siamo andati in aula. Le maestre avevano preparato per noi un filmato con tutti i momenti più belli vissuti dai bambini durante questa esperienza.

Io, Marco e Luca lo abbiamo visto due volte. E durante la seconda proiezione il mio piccolo Picasso mi ha spiegato per bene tutto quello che avevano fatto: le pitture con i colori naturali preparati con le loro mani utilizzando spinaci, barbabietole, cavolo nero, etcc.. I lavori con la sabbia, la colla, le posate e i colori. E tante altre cose.

Che soddisfazione ascoltarlo. E come era fiero lui…

Nulla, neanche una parola sul mio ritardo.

La sera, a cena, ad un certo punto gli ho detto: “Sai Marco, sono arrivata un pelo in ritardo oggi a scuola perché ho avuto un imprevisto…”

E lui: “Vabbè, si chiama così adesso… pelo di ritardo. Ti ho cercata, ti ho cercata e nel frattempo mi dicevo: “Ma quando arriva la mamma!”. Ormai dovrei esserci abituato, arrivi in ritardo a Taekwondo, a circo. Ma almeno questa volta…”

Mi volevo sotterrare…

Non mi aveva mai fatto pesare il fatto che arrivo sempre in ritardo quando vado a prenderlo dalle sue lezioni.
A mia discolpa, però, glielo avevo anche detto dall’inizio che non sarei mai potuta arrivare in tempo. E l’ho detto per tempo anche agli istruttori, che mi hanno accordato il quarto d’ora accademico 😉

Le sue lezioni finiscono alle sei, sei un quarto del pomeriggio. E io a quell’ora sono ancora in ufficio. Poi per forza di cose mollo, spesso con una serie di lavori da completare, e corro da lui.

Corro, corro, corro… arrivando in ritardo ovunque.

Non me lo aveva mai detto. Ma ieri probabilmente l’ho fatta grossa arrivando in ritardo anche a scuola.

Per farmi perdonare, però, siamo usciti dall’aula per ultimi. Ultimissimi. Mi ha fatto lui da Cicerone, facendomi vedere da vicino tutti i capolavori fatti e raccontandomi di ogni disegno e lavoro tutti i particolari e anche di più.

A me è piaciuto molto poter ascoltare queste cose raccontate da lui. Che soddisfazione!

Ma quanto è difficile poter incastrare tutto. Quanto è difficile fare la mamma che lavora…

Gli avrei potuto dire: “Amore, scusami e ti prometto che non succederà più”.

Ma non l’ho fatto. Mi sarei macchiata anche di menzogna.

Sappiamo bene entrambi che succederà ancora e ancora.

Però mi potrò impegnare ad arrivare puntuale almeno agli appuntamenti più importanti per lui.
Almeno ci proverò 😉