L’intervista a The Queen Father: un papà-mammo arcobaleno!

the queen father

“Maria, conosci The Queen Father?”
“Sinceramente no. E’ un gruppo musicale?”
“Macchè! è un papà davvero speciale, mi piacerebbe intervistarlo visto che è ormai prossima la festa del papà!”

Così qualche giorno fa, al telefono, Rossella Martinelli mi ha proposto questa iniziativa.
Mi ha raccontato un po’ la storia e devo dire che mi ha conquistata subito.

Come ben sapete mi è sempre piaciuto pensare a questo blog come ad uno spazio aperto a tutti. Ben vengano idee diverse, storie diverse. E questa è veramente una storia particolare.

Non vi anticipo nulla. A voi l’intervista di Rossella a “The Queen Father”.

“Qualche giorno fa mi sono imbattuta in una storia da libro “Cuore” che immagino abbiate letto anche voi: in uno sperduto villaggio della Cina c’è un padre che ogni giorno percorre 30 chilometri per portare il figlio disabile a scuola. Visto che il bambino non può camminare, ha costruito un enorme cesto per caricarselo sulle spalle. Lasciato il dodicenne alla maestra, Yu Xukang – questo il nome dell’uomo – se ne torna a casa a lavorare la terra. Nel pomeriggio, dopo ore sotto il sole a spaccarsi la schiena, va a riprenderlo e lo porta a casa. Una abnegazione e un amore tali da essergli valsi il titolo di “uomo dell’anno” per il Daily Mail.

Ecco, questa toccante vicenda sintetizza quello che, a parere mio, significa essere padre: amare un figlio sopra ogni altra cosa o persona al mondo, senza voler nulla in cambio se non la sua felicità. Sarà che ho la fortuna di avere un babbo così. Ed è partendo da questo presupposto che, nella settimana in cui cade la festa del papà, ho deciso di intervistarne uno che da cinque anni dedica ogni secondo della sua esistenza al proprio bambino, Gabriel, nato da maternità surrogata. Un padre speciale, anche perché è sposato con un altro uomo, Steven (Gabriel li chiama rispettivamente “papà” e “daddy”). In molti avranno capito che sto parlando di Marco Platti, 39 anni – romano trapiantato a Londra e in questo momento di casa a Parigi – meglio conosciuto come The Queen Father , dal nome del popolare e spassosissimo blog di cui è autore.
Come è nata l’idea di ricorrere a una madre surrogata?
“Mio marito ha quattro anni più di me ed è stato lui a propormelo. Ma in quel periodo eravamo su due pagine diverse della vita: io ero interessato alle feste, alla vita mondana e ai viaggi; lui, invece, quella fase l’aveva già superata. Allora mi ha fatto il dono più grande che una persona innamorata possa fare: mi ha regalato del tempo, aspettando che me la sentissi. Dopo qualche anno sono stato io a tornare sull’argomento: avevamo raggiunto la giusta stabilità psicologica di coppia e le nostre famiglie si erano unite. La vita viene talmente stravolta da un figlio che bisogna sentirsi davvero pronti: al contrario, si rimane incastrati nell’eterno lutto della vita precedente”.

Nel tuo blog dedichi un lungo post  all’iter che tu e Steven avete seguito per diventare genitori. Ce lo riassumi brevemente?
“Prima di tutto bisogna scegliere il Paese: noi abbiamo optato per gli Stati Uniti perché lì la maternità surrogata è una realtà da 40 anni ed esistono avvocati e professionisti specializzati in materia. Già che ci siamo, sfatiamo un mito: una madre surrogata non presta il suo corpo per soldi, bensì mossa dal desiderio di aiutare qualcuno che desidera dei figli ma non ne può avere. Come quella di Gabriel, che è un’infermiera sposata, con due bambini. In seguito ci si rivolge a una agenzia, si crea un portfolio di coppia, si viene scelti da una madre surrogata (non avviene mai e poi mai il contrario!) e, a quel punto, si trova una donatrice di ovuli. È un iter lungo, molto costoso e, a tratti, doloroso: nel nostro caso è durato tre anni, con una gravidanza fallita nel mezzo. Il problema della maternità surrogata è l’alone che la circonda: poche informazioni, spesso insabbiate, e l’idea che le coppie che vi ricorrono siano ricchi annoiati che si comprano un bambino anziché il cane. Certo, si tratta di bimbi che non nascono dopo che i genitori fanno l’amore sotto un cielo stellato: li generano la scienza e un paio di provette, ma non per questo sono meno desiderati o meno amati degli altri”.

Per una mamma l’amore incondizionato non nasce immediatamente: all’inizio quell’esserino strillante fa quasi paura. Tu quando ti sei sentito padre per la prima volta?
“Quasi subito: durante le prime tre settimane di vita di Gabriel siamo dovuti rimanere negli Stati Uniti perché nessuna compagnia ci avrebbe permesso di volare con un bambino tanto piccolo. La prima notte che ha trascorso insieme a noi l’ho passata con un occhio aperto e uno chiuso: era nato con parto cesareo e presentava un maggior quantitativo di liquido nei polmoni, cosa che trasformava i suoi pianti in belati simili a quelli di una capretta. Questo suono così strano mi ha messo in paranoia per la sua salute: ecco, dopo aver trascorso quella notte insonne, a vegliarlo, ho capito che io non ero più io. Ero una nuova persona”.

Per le neomamme il baby blues è un fardello portato in dono dagli ormoni che ballano il tango, ma ha a che fare anche con le notti insonni e gli orari che vengono totalmente stravolti. A te è capitato qualcosa di simile?
“Lo confesso per la prima volta: credo di aver attraversato una fase di depressione; il primo anno di vita di Gabriel è stato molto difficile: un neogenitore vive in uno stato di totale isolamento. Mio marito era sempre via per lavoro, io passavo intere giornate scandite dalla medesima sequenza meccanica di azioni: latte/pannolino/latte/pannolino/bagnetto. Ero esausto, assonnato e, quando ero in down, chiamavo mia madre: lei, una donna positiva e piena di vita, riusciva sempre a sdrammatizzare i momenti di tristezza”.

Tu, così come fanno molte mamme, hai abbandonato il lavoro per dedicarti completamente al bambino. Sacrificando una carriera avviatissima nel mondo della moda.
“Nel mio nucleo familiare le dinamiche sono state le stesse che avvengono in molte coppie etero: io guadagnavo un quarto di quanto prendesse mio marito, quindi – dopo aver fatto due conti – abbiamo deciso che toccasse a me stare a casa. Certo, avrei potuto assoldare una tata e mantenere il posto, ma abbiamo aspettato Gabriel tre anni e non ci pensavo assolutamente a perdermi la sua crescita. Dopotutto io provengo dalla tipica famiglia italiana: papà sempre al lavoro, mamma casalinga”.

Non ti sei mai detto “chi me lo ha fatto fare”?
“Certo: e il blog è nato un po’ come sfogo. Occuparsi di un bambino e di un marito è, come dicono qui, un “thankless job”: nessuno ti dice grazie, anzi, appena neghi una caramella ti senti dare del cattivo”.

Gabriel è mai stato vittima di bullismo o prese in giro da parte dei compagni d’asilo in quanto figlio di una coppia omosessuale?
“No. È un bimbo molto amato e popolare a scuola, perché è solare. Non lo fa sentire in difetto realizzare che i suoi compagni sono cresciuti da una mamma e un papà mentre lui ha due genitori dello stesso sesso. Nella sua classe c’è una bimba orfana di padre, morto quando aveva solo tre mesi, mentre la sua cuginetta ha un padre di colore: è abituato ad avere una visione del mondo non quadrata”.

E quando a scuola preparano un lavoretto per la festa della mamma, lui a chi lo dà?
“Be’ lo scorso anno ha costruito un bellissimo fiore in compensato ricoperto di glitter rosa ed è qui che troneggia a casa, perché lo ha dato a me: ripeto sempre alle maestre e a tutti gli altri che noi non dobbiamo essere maneggiati con cautela”.

Solitamente la prima parola dei bambini è “mamma”: nel caso di Gabriel?
“Dipende molto dalla lingua: i bimbi inglesi tendono a dire prima “da da”, che diventa presto “dad” o “daddy”. La sua prima parola è stata proprio quella: ed è così che chiama mio marito, mentre io sono “papà”. Steven è quello più indulgente, io sono quello duro, cui spetta il ruolo di dare delle regole. Inutile dire che Gabriel veda lui come Santa Claus e me come una sorta di Crudelia Demon”.

Se una madre normale sente la pressione di suoceri e parentado vario, un padre gay sente su di sé il dito puntato da tutta società.

“Esatto: e i nostri fallimenti finiscono con l’essere quelli di un intero gruppo. Lo scorso anno, in Australia, una coppia di omosessuali pedofili adottò un bambino: da quel deprecabile comportamento tutti noi siamo diventati mostri che vogliono avere dei figli per assecondare i loro desideri”.

Viste da fuori quali pregi hanno le mamme italiane?
“Premetto che amo e ammiro molto le mamme italiane, nonostante lo stereotipo le voglia come un mix di falsi miti: sacrificio, rassegnazione e dolore. Non ho nulla da ridire sul loro essere chiocce; a volte, però, dovrebbero ricordare che i figli non sono una nostra proprietà, ma appartengono soltanto a loro stessi e, in quanto tali, devono sbattere la testa sulle cose, devono essere proiettati. Quindi, da osservatore esterno, suggerirei di allentare un po’ il guinzaglio. Ora vivo a Parigi e le mamme italiane le riconosci subito al parco: sono quelle più in paranoia e che strillano maggiormente. Ma il loro tratto distintivo è la paura del famoso “colpo d’aria”: un concetto che non sono mai riuscito a tradurre a mio marito”.

E i padri italiani come li vedi?
“Penso al mio: non mi ha mai fatto mancare nulla, ma non ricordo mi abbia preso in braccio, raccontato una storia o cambiato un pannolino. Quando mi capita di vedere alcuni nuovi papà italiani, di quelli che spingono il passeggino o danno il biberon, provo tenerezza. In generale, però, quando vado a spazi gioco e affini vedo soltanto mamme: ormai sono esperto in capezzoli spaccati e secchezza vaginale”.

Il momento più bello di questi quasi 5 anni da padre?
“Sono due: il primo è recente ed è la recita di Natale dello scorso anno. Gabriel interpretava il ruolo dell’angelo di fronte a 200 persone e io lo guardavo ammirato, sentendomi scomparire dietro la sua ombra. Ovviamente mi sono sciolto in una valle di lacrime. Il secondo è stato il Battesimo, cattolico, in una chiesa di Londra, da parte di padre Carmelo di Giovanni, che ancora ci telefona per sapere come stiamo e come stia Gabriel. È stato un momento intenso perché l’abbiamo vissuto come un enorme abbraccio, una accettazione collettiva”.

Gabriel resterà figlio unico?
“Da qualche tempo stiamo pensando all’adozione. Ci sono molti bambini orfani cui nessuno offre amore o possibilità di essere felici. Adottarne uno sarebbe il modo di ringraziare per il grande regalo che la vita ci ha già fatto”.

Cosa rispondi a chi critica le famiglie come la tua?
“Mia zia diceva “parla bene chi ha le mani fuori dal tagliere”. Io rispetto chi la pensa diversamente da me, ma chiedo di non criticare perché si parla pur sempre di sentimenti ed emozioni. Inviterei quanti attaccano la nostra scelta ad osservare il nostro quotidiano, guardando come cresce Gabriel: felice e circondato d’amore. In Italia l’iconografia del gay non si discosta ancora dal Tognazzi de “Il vizietto” o da Vladimir Luxuria. E se un ragazzo di 17 anni si scopre omosessuale non vede alternative al cappio al collo: forse anche a causa di chi formula certi giudizi discriminatori senza valutare che, dietro, ci sono delle persone. Noi famiglie arcobaleno meritiamo un po’ più di rispetto e chiediamo alla società di non disfare quello che cerchiamo di costruire. Perché se tuo figlio ha due genitori dello stesso sesso, è di colore, obeso o rosso, per lui non rappresenta un problema se in casa non glielo fanno pesare. Il disagio subentra nel momento in cui, uscendo di casa, gli altri gli puntano il dito contro”.
Questa intervista non ha la presunzione di suggerire se la maternità surrogata sia una scelta giusta o sbagliata. Ho soltanto voluto raccontare la storia di una genitorialità diversa da quella a cui siamo abituati. Personalmente, non so se un figlio preferisca crescere solo con la mamma, con mamma e papà, con due padri o due madri. Quello che so per certo, però, è che un bambino chiede solo due cose per essere felice: amore e attenzioni. E che Gabriel è un bambino davvero amato.”

Rossella-martinelliRossella Martinelli

135 risposte a “L’intervista a The Queen Father: un papà-mammo arcobaleno!

  1. in questo argomento a me sembra di leggere molto perbenismo e buonismo quando in realtà purtroppo se siamo una nazione mentalmente indietro da cent’anni c’è una ragione….cioè molti dicono “io li accetto ma non condivido”….non penso che dell’accettazione se ne fanno molto queste persone che dovrebbero avere gli stessi diritti di una coppia etero..in quanto persone come noi!!!

  2. @Marco: permettimi se il dibattito non serve a nulla allora xkè ti sei fatto intervistare? Perché hai un blog? Credo proprio per parlarne no? Certo a te le opinioni, correggimi se sbaglio, da come parli non ti toccano minimamente (come giusto che sia x te), quindi perché dici porgere un fianco se non ti frega nulla?
    Inoltre con sta storia della chiesa avete rotto, per quanto mi riguarda ti ho detto che non sono praticante e anche altri commenti non mi pare abbiano tirato in ballo la religione. Poi parlare di perversione…chi lo ha fatto? Nessuno. Dubito che possa interessarti ma ti vorrei raccontare un aneddoto, la mia ginecologa è obiettore il che significa che non pratica aborti volontari, quando parecchi anni fa si andò a votare per la legalizzazione dell’aborto lei votò a favore perché disse: per un mio problema non devono pagare altre persone che magari non hanno scelta o ragazzine 14enni che hanno fatto na str….ata. Questa secondo me è apertura mentale. Tu dici che se le cose vanno male la colpa è di chi come me la pensa diversamente da te. No caro la colpa è di chi governa, se non fanno leggi che tutelino tutti non è colpa nostra. “Si tratta di assicurarsi che abbiano pari diritti”. Appunto io anche se fossi d’accordo cosa potrei fare?. Chi ti dice che se si andasse a votare io voterei contro? (ho 35 anni e da quando voto non mi pare ci siano state interrogazioni di questo tipo). Personalmente non sarò mai a favore ma se si votasse (referendum) beh non voterei contro. Se facessero la legge la rispetterei come rispetto tante altre (non vado a rubare) xkè mi reputo una persona aperta al confronto e si di larghe vedute, anche se non sembra. Perdonami ma tu non lo sei, troppo comodo sparare a zero. Un augurio sincero per la tua vita. Anche x me è l’ultimo intervento in questo senso.

  3. Voglio concedermi un ultimo intervento. Voglio ringraziare tutti voi che avete partecipato con le vostre opinioni. Sono molto grato del tempo che avete dedicato alla lettura di questo articolo e della passione che traspare dai vostri commenti.
    Si parla di omosessualità, omogenitorialità e bambini.
    Il dibattito in questo caso è motivato dal fatto che queste tematiche suscitano reazioni quasi sempre intense. Lo capisco.
    Ma a cosa serve un dibattito in questo caso? Qual è il suo scopo?
    A cosa mi serve leggere i commenti di gente che si oppone alla natura della mia famiglia e di gente che invece la accetta?
    A cosa mi serve mettere continuamente la mia vita sul tavolo e porgere il fianco ad ogni serie di attacco?
    Ho scelto un combattimento ai ferri corti non per sadismo, ma perché chi si oppone (con più o meno veemenza) alle mie scelte, deve potermi guardare in faccia mentre cerca di demolire e sminuire la mia vita. Deve potersi accorgere della mia umanità identica alla sua e della mia paura, perché il futuro di tante famiglie come la mia risiede proprio nelle mani di chi è contro.
    L’unica cosa che mi serve sul serio è far cambiare idea a chi la pensa diversamente da me, perché è questa la gente che crea problemi alla mia famiglia, che non approva le leggi, che non facilita le adozioni o la legislazione che regola il concepimento alternativo, che fa domande imbarazzanti ed inopportune, che non riesce a scindere ‘omosessualità’ da ‘perversione’ e che guarda i nostri figli come i prodotti di un narcisismo senza confini.
    Stare a sentire chi mi incensa e chi mi condanna, mi riempie di gioia e di rabbia a fasi alterne e non serve a nulla.
    Non serve a nulla.
    L’opinione contraria non serve a nulla se non a bloccare il percorso verso l’uguaglianza.
    Quella vera, non quella della domenica in chiesa.
    Fare il punto sul fatto che la famiglia omogenitoriale sia sbagliata non serve a nulla.
    Serve solo a dare voce ad un pensiero, ma non costruisce niente.
    È come avere un’opinione sulla pioggia: personale, ma del tutto inutile, perché come per la pioggia, l’esistenza delle famiglie omogenitoriali non dipende dalla vostra opinione, la loro felicità e prosperità invece sí.
    Io vorrei che, al di là dell’amore per le opinioni e per il ‘dibattito costruttivo’ a cui in tanti si attaccano, pensaste soprattutto a questo.
    Le famiglie omogenitoriali ci sono già. Ci sono da anni.
    Non si tratta più di discutere se siano giuste o sbagliate. Si tratta di assicurarsi che abbiano pari diritti, pari dignità e l’accesso ad una società più giusta.
    Il resto, con tutto il dovuto rispetto, è aria calda.

    Grazie ancora,

    TQF xx

  4. @Elena: credo che ogni genitore abbia la responsabilita’ di cercare, nel suo piccolo, di rendere migliore il mondo per i propri figli ed abbattere i muri dei pregiudizi e’ un modo per farlo…
    Dire io la penso cosi’ punto e basta non credo serva a nessuno, pero’ ovviamente sei libera di pensarla come meglio credi

  5. Io i muri non li alzo e non li abbatto.
    Semplicemente e banalmente penso che ognuno sia libero di vivere la propria vita come meglio crede e mi fa davvero soffrire pensare che in un mondo “evoluto” come il nostro ci siano persone che devono ogni volta dar spiegazioni circa la loro famiglia a persone che dicono loro di non convididere le loro scelte (come se questo venisse loro richiesto).
    Per quanto concerne i miei commenti banali, CriCri, io non ho niente da dirti.
    Come ho già ampiamente detto, puoi pensare ciò che più ti aggrada.
    A me i tuoi sembrano invece pedanti, bigotti e anche un po’ ridicoli, ma non sto a scrivertelo ogni 5 minuti.
    Proprio perché sono una persona tollerante non mi strappo i capelli sapendo che al mondo c’è ancora gente che ragiona come te. Me ne faccio una ragione, sperando che pian piano le persone imparino ad essere più tolleranti e meno giudici della vita altrui. Perché non riesci a fartela anche tu?
    Peace & Love. 🙂

  6. @Elena: ti rispondo solo dicendo che io non ho valori profondi, ho valori giusti x me e x la mia famiglia. Io le famiglie arcobaleno invece le accetto eccome, non le condivido assolutamente, ma le accetto il che significa che se un bimbo che sta crescendo in queste famiglie andasse in classe con mia figlia da noi non verrebbe isolato a meno che non fosse un vandalo.
    Inoltre come hai potuto constatare in questo articolo sono moltissimi, forse la maggior parte, che la pensano come te tipo Daniz78, Vale82, Graziella, Francesca la stessa SilviaFede ma come vedi io solo i tuoi commenti ho reputato e reputo banali (come sicuramente saranno i miei). Le altre hanno argomentato il loro punto di vista facendomi vedere una diversa prospettiva, che io pur non condividendo, ho apprezzato. Da te ho letto solo luoghi comuni. Sicuramente è un mio problema eh, nulla contro di te.

  7. @Elena: ci sono molti modi per buttare giu’ i muri…uno e’ appunto il muro contro muro (scusa il gioco di parole) ovvero ci si scontra finche’ uno dei due non soccombe ed e’ quello che non vorrei adottare mai…poi c’e’ un altro modo che e’ quello di utilizzare uno scalpello, ci si mette tantissimo, magari il muro si crepa ma fa resistenza e non vuole cadere ma piano piano crolla…ed e’ quello che preferisco.
    Siccome con CriCri mi trovo spesso a scambiare opinioni su argomenti vari, posso dirti che non e’ una persona intransigente ma anzi e’ una persona molto aperta al dialogo che quantomeno ascolta i punti di vista degli altri, credo sia importante esporre garbatamente il proprio punto di vista invitando a cambiare porspettiva o magari ad approfondire la conoscenza di qualcosa che non tocca da vicino…anche io sono ferma e convinta della mia opinione (che corrisponde alla tua) ma credo che la mancanza di confronto serva solo ad alzarli i muri e non ad abbatterli…

  8. E vissero tutti felici e contenti.
    @CriCri sarebbe troppo semplice e ovviamente banale risponderti dicendo che qui, la persona che non ha capito il punto di vista altrui, non sono io.
    Purtroppo io ho inteso perfettamente certe argomentazioni.
    Forse ti sfugge il fatto che comprendere e condividere sono due concetti ben diversi. È troppo comodo dire che una persona non capisce o non vuole capire solo perché dissente. Io dissento e addirittura mi ripugna il moralismo di persone che si autodefiniscono paladini dell’accettazione e della tolleranza e poi si mettono a sindacare su scelte altrui così personali.
    Io penso di avere dei valori molto profondi, ma la morale non mi sento di farla a nessuno. Io non mi sento di dover accettare le famiglie arcobaleno. Mi rendo conto che esistono e che sono famiglie come la mia, con qualche problema in più forse, dovuto non alla loro natura, ma alla ristrettezza mentale di certi bigotti che si sentono autorizzati a sputar sentenze su questo e su quello.
    E pensa pure quello che ti pare su quello che secondo te io faccio o penso o dico e sui presunti preconcetti che secondo te dovrei avere.
    Vivo bene ugualmente.
    Take it easy. 🙂

  9. @CriCri: non voglio fare quella del grazie-prego-grazie a te-non c’e’ di che…ma quando ce vo ce vo…grazie a te…concordo che questi confronti sono costruttivi e aiutano anche a focalizzare meglio le proprie idee sempre se alla base c’e’ il rispetto reciproco come nel nostro caso

  10. @SilviaFede: non avevo dubbi che avresti capito il mio punto di vista. Questo intendo io x apertura mentale. Io e te su questo argomento abbiamo prospettive diverse forse opposte ma io ho capito e rispetto il tuo punto di vista tu hai capito e rispetti il mio. Questo è confronto costruttivo e per nulla banale. Grazie.

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