Con i bambini più grandi si parla. Se accusano dei dolori loro ci spiegano, ci fanno capire cosa è che non va.
Ma con un neonato no. Lui non favella!
L’unico modo che ha per comunicare un bisogno, una esigenza è quello di piangere. Un pianto estenuante, ininterrotto che spesso, soprattutto nei primi giorni di vita, manda nel panico mamme e papà.
Avrà fame? Sete? Freddo? Caldo? Doloretti? Ha fatto i bisognini? Oppure vuole solo una dose massiccia di coccole extra?
E se neppure prendendo il piccolo in braccio, cullandolo, facendogli sentire il calore umano smette di piangere? Che fare? Qual è l’atteggiamento giusto che devono usare i genitori?
Tata Simona lo ha chiesto ad una nota psicoterapeuta, Christine Rankl, che le ha risposto così:
“Per calmare un neonato nei primi tre mesi di vita è necessario ricreare l’ambiente che aveva nel grembo materno, ossia avvolgente e con rumori attutiti”.
Da qui i tre consigli di Simona (VIDEO) per affrontare al meglio questa situazione:
1) Non fatevi prendere dall’ansia
2) Parlate con voce bassa e tranquilla
3) Eliminate per quanto possibile i fattori di stress.
Cosa ne penso?
Credo che sia più facile a dirsi che a farsi.
Con il primo bambino si è ancora molto inesperti. E il pianto estenuante e ininterrotto fa perdere il lume della ragione a chiunque, figuriamoci alla neomamma che si ritrova ancora con gli ormoni impazziti (:)) E la cosa si complica ancora di più quando non si riesce a capire il perché di tanta disperazione.
Pensateci, in fondo, è la prima volta che si ha a che fare con un esserino che dipende al 100% da noi, di cui ci dobbiamo prendere cura… e che non capiamo. Non parla ancora la nostra lingua…
Dopo le prime settimane si impara a riconoscere il pianto, o almeno io mi illudevo di riconoscerlo (più o meno)!
Comunque, l’ansia prendeva ugualmente il sopravvento dopo un tot di minuti di pianto irrefrenabile. Quindi il primo consiglio l’ho seguito in parte. O per meglio dire è stata la mia parte razionale che ha cercato di seguirlo! L’altra parte di me decisamente no.
Ricordo ancora la prima e unica colichetta di Marco (ancora non sono sicura che si sia trattato di colichetta!). Per fortuna che c’era mia madre a darmi una mano. Marco piangeva a dirotto da un lato e io dall’altro. Non sapevo che fare, ero disperata. Che scenetta 🙁
Il secondo consiglio è abbastanza facile. Ok, si può fare.
Il terzo… beh! Dipende qual è il fattore di stress.
Diciamo che con il primo figlio, con un po’ di impegno, è possibile ovattare l’ambiente. Ma con il secondo…
Quando è nato Luca, il mio secondogenito, il suo fattore di stress maggiore era Marco…
Direi un fattore “impossibile” da eliminare 🙂