Avevo un solo buono proposito prima di partire per il profondo Sud: staccare Luca dalla tetta.
Ormai, spenta la prima candelina è quasi un ometto, pensavo.
Ed effettivamente per tante cose è davvero grande. Scimmiotta il fratello e fa quasi le sue stesse cose: corre, salta, si arrampica ovunque. Tenta di mangiare da solo con cucchiaino e forchettina (ovviamente vi lascio immaginare cosa riesce a combinare…). Solo che ad una certa ora viene da me e cerca il mio seno.
E lo fa anche di notte. Si sveglia ancora infinite volte. Poi ciuccia tre secondi e si riaddormenta.
E siamo alle solite. Lui continua a dormire beato. Io al mattino sono più stanca che mai.
Avevo pensato anche al come e al quando togliergli l’amata tetta: in campagna dai miei.
Potrà piangere e disperarsi senza svegliare tutto il palazzo, pensavo.
Ma non avevo considerato una cosa: l’elemento nonni. I miei appena sentono i bimbi piangere si alzano entrano in camera e li prendono per consolarli.
E quindi?
E quindi sono qui a raccontarvi la mia disfatta: alla veneranda età di 16 mesi compiuti il mio “terremoto kid” è più che mai attaccato alle tette.
Potrei raccontarvi mille motivi. Ma sono mille scuse, in parte anche vere, come il fatto che non è stato benissimo durante l’estate, che aveva la bocca in fiamme (gli sono spuntati i premolari e i canini), che dormivamo tutti e quattro nella stessa stanza, bla, bla, bla…
Ma la verità è che i nonni lo hanno straviziato e io non ho avuto la forza di dire basta. Avevo anche altri pensieri per la testa.
Lo farò appena torneremo a Milano, mi dicevo. Basta tetta. Farò dormire Luca nella stanza di Marco e buonanotte a tutti.
E invece…
E invece siamo tornati a casa nostra e siamo ancora io e lui nel lettone.
E sono ancora qui a raccontarvi che sto facendo una fatica incredibile per tenere gli occhi aperti!
Manuale del cattivo genitore? Mi piace più pensare ad una “storia di comune follia” di noi mamme e papà.
;o)