Il momento dei pasti sembra fatta apposta per scatenare i capricci.
Ma è davvero colpa del cibo o dietro questa guerra si nasconde un problema diverso?
A questa domanda risponde la nostra psicologa amica, la dottoressa Francesca Santarelli:
“Molte ricerche psicodinamiche hanno dato come risposta l’ansia della mamma rispetto al cibo. Un’ansia che presuppone, la mancanza di fiducia dei genitori nei confronti della capacità del figlio di valutare la sua fame e la sua sete. Fin dall’allattamento, al seno al biberon, tra madre e figlio si stabilisce la relazione affettiva: l’offerta di cibo soddisfa nel bambino anche il bisogno di essere riconosciuto, amato e desiderato. Mangiare deve riempire prima il cuore -è fatto di sguardi, di voce, di contatto- è il segno della devozione della madre nei suoi confronti. Nel piatto c’è cibo per l’anima!
Ma ripercorriamo insieme le tappe più importanti della conoscenza del cibo.
La prima tappa, quella dello svezzamento, è molto delicata perché ha a che fare con il senso di perdita (del seno o del biberon preso tra le braccia della mamma, non solo dispensatore di nutrimento, ma incarnazione dell’amore materno). Il bambino può sentirsi impaurito o provare rabbia poiché non comprende il motivo di un così sconvolgente cambiamento nella sua routine quotidiana. Non è naturalmente così per tutti i bambini, ma sapere che se il piccolo chiude la bocca o gira la faccia non ha niente a che vedere con la nostra cucina, è già un buon punto di partenza per evitare fin da subito inutili insistenze.
A partire dai 18/24 mesi scoppia la vera guerra nel piatto. È vero, è il periodo dei NO detti a casaccio tanto per sperimentare l’effetto che fa. Ma davanti a un no cocciuto davanti al piatto che si raffredda, perdere la pazienza è un attimo!
Nei rapporti genitori-figli l’insistenza genera sempre resistenza. Per evitare che il cibo diventi motivo di conflitto, terreno di scontro, aprendo così la strada a possibili disturbi alimentari, è opportuno non caricare gli altri significati al di là del nutrimento, i pasti. Il destino di questi comportamenti dell’infanzia, infatti, dipende molto dalla risposta dei genitori. No a ricatti o promesse: il rischio è di attribuire troppa importanza al cibo e, impuntandoci a nostra volta, arrivare al muro contro muro. Difficile lo so, ma conviene riflettere sul nostro modo di offrire il pasto al bambino: scodellare e basta, a qualsiasi età, non è una buona modalità di esprimere la propria devozione. Infine, tavola si condivide, si assaggia, si chiacchiera, anche l’atmosfera che si respira e’ nutrimento. E se è un atmosfera che ingombra lo stomaco, il no alle zucchine può essere un rifiuto il clima familiare.
Verso i 30 mesi invece si passa la fase in cui spesso i bambini si tengono tutto in bocca o si rigirano il boccone da guancia a guancia sembrando che niente vada giù. Alcuni comportamenti bizzarri, per esempio questo di tenere in bocca il cibo senza masticarlo, a un’età in cui il bambino ha ormai tutti i denti, possono segnalare la presenza di una pulsione aggressiva e il timore di esprimerla. È una forma di regressione che può anche segnalare, quando il comportamento è costante, una ferita nell’ambito dell’oralità (Ad esempio se il bambino è stato costretto a prendere molte medicine o se l’insistenza nel mangiare è stata particolarmente forte).
Dopo i 3 anni, ci sono invece bambini che a scuola non mangiano niente. Spesso, un bambino che rifiuta il cibo proposto a scuola può mostrare difficoltà nel superamento della fase dello svezzamento, fatica che riguarda anche la mamma. Ci si svezza in due: la mamma promuove l’esperienza, il bimbo la accetta. Le cosiddette anoressie scolastiche sono in aumento oggigiorno….. All’origine di tali atteggiamenti oppositivi possono esserci vari motivi tra questi, anche la grande attenzione che i genitori hanno nei confronti del cibo (biologico, integrale, vegano, vegetariano, ecc…) così come la qualità dell’atteggiamento delle educatrici. Le mamme dovrebbero sempre rassicurarsi sulla bontà della refezione e i figli si adegueranno di conseguenza. Ma teniamo anche presente che ci sono spesso dei genitori che trasmettono un’ansia particolare rispetto al fatto che i bambini mangino qualcosa non cucinato da loro. Anche in questo caso teniamo sempre presente che siamo noi che spesso influenziamo comportamenti che i bambini hanno a scuola nei confronti del cibo. Troppo spesso i bambini sono riflesso del nostro mondo emotivo: ecco perché occorre sempre prestarci attenzione!”
Per appuntamenti con la dottoressa Francesca Santarelli, o info, potete visitare il sito Internet del suo studio: www.studiosantarellidecarolis.com