La settimana scorsa con la dottoressa Francesca Santarelli abbiamo parlato di fobia scolare, ossia di quando un bambino non ha più tanta voglia di andare a scuola.
La psicologa, volutamente, non ha affrontato un argomento difficile, spinoso che è quello del bullismo, perché merita un’attenzione particolare.
Una mamma, però, ha chiesto alla nostra psicologa di parlare esplicitamente anche di bullismo.
Ecco che cosa ci racconta:
“Nel precedente post, quando ho parlato della fobia scolare, non ho voluto appositamente affrontare un tema spinoso: uno dei motivi che purtroppo molto spesso spingono i bambini a non voler più andare a scuola o comunque a fare i capricci tutte le mattine per non volerci andare: quando ci sono casi di bullismo.
Ringrazio per questo, una mamma che mi ha invitato a parlarne così che possa parlare di questo argomento così difficile, ma purtroppo presente in molte realtà scolastiche. Innanzitutto diciamo che le manifestazioni del bullismo cambiano molto in base alle fasce di età sia del bullo che della vittima. Magari la prossima volta vi aiuterò a capire il profilo di un bullo, ma questa volta volevo concentrarmi maggiormente sui bambini che sono vittime di queste aggressioni e cercare di aiutare voi genitori ad avere almeno una linea guida su come intervenire .
I bambini che vengono scelti come vittime, sono quelli che solitamente hanno qualche differenza rispetto al resto del gruppo ( un paio di occhiali, le lentiggini, l’apparecchio, il sovrappeso) e che per questo, vengono designati come più fragili o deboli da parte di chi invece si percepisce con un potere dominante e quindi più forte (il bullo).
Gli atti di bullismo si possono dividere in quattro categorie:
- fisico (spintoni, botte);
- psicologico (esclusione, pettegolezzi )
- Verbale (offese)
- E in ultimo oggigiorno, purtroppo anche l’utilizzo del web con foto o post su Facebook.
Non è sempre facile capire che nostro figlio puo esser vittima di reali atti di bullismo. Ma quello che posso fare per aiutarvi, almeno inizialmente, è delineare degli spunti di osservazione che possono essere come dei campanelli di allarme. Ad esempio:
- cambiamenti improvvisi: non vuole più andare a scuola mentre prima ci andava tranquillamente, non riesce più a dormire da solo, non mangia più o mangia all’improvviso troppo.
- Comportamenti strani o diversi dal solito: ci chiede soldi in casa o li sottrae di nascosto, si priva di giochi e non vi dice dove li porta.
- Cambia atteggiamento con i coetanei in termini di maggiore isolamento o all’improvviso non vuole più frequentare i suoi amici e non vi spiega il perché.
- Può cominciare ad avere tutta una serie di disturbi fisici che non si riconducono a nessun tipo di disturbo organico, ma sono tutte somatizzazioni e si manifestano di solito, la mattina prima di andare a scuola.
- Non ne parla, cambia umore e sembra non sia più vostro figlio, praticamente come se non lo riconoscete più.
Attenzione però a non confondere il bullismo con comportamenti aggressivi o conflittuali tipici tra bambini perche per parlare di bullismo vero e proprio, occorre che un atto di violenza sia volontario, da parte di un “forte” (si crede tale) nei confronti di un bambino piu debole che di solito è colui che soccombe. Questi atti devono avvenire ripetutamente per un lungo periodo di tempo e spesso di fronte ad un pubblico di coetanei che solitamente non reagisce o che rinforza involontariamente il comportamenti del bullo stesso.
Quando un bambino vive costantemente paura, tensione, impotenza (emozioni tipiche del trauma) non è in condizione di parlare con voi né di condividere cio che vive e che prova per timore che l’intervento adulto confermi ulteriormente la sua percezione di debolezza.
Quello che può fare un genitore è di mantenere il più possibile le basi per un dialogo e una comunicazione aperta e spontanea in cui non ci deve essere pressione di nessun tipo e nessuna insistenza.
Anche se sembra assurdo, bisogna partire con il rispettare il suo silenzio e i suoi tempi, in modo che sia lui gradualmente ad aprirsi con noi perche si fiderà del rispetto che abbiamo avuto nel percepire il suo malessere.
Si può inoltre essere maggiormente presenti a scuola nell’accompagnarlo o andarlo a prendere e naturalmente devono essere informati subito gli insegnanti, in modo che possano sviluppare un’attenzione maggiore nei confronti della classe e del bambino stesso.
Dobbiamo sempre rassicurare e spiegare al bambino che non è colpa sua e non c’è nessun motivo di vergognarsi. Chiedere aiuto è un atto di coraggio e non vuol dire essere deboli o fare la spia.
Può essere utile a trovare con lui delle strategie utili in modo di valorizzare le sue idee (come ad esempio evitare i momenti in cui ci può essere il maggior rischio o dirgli che se vogliono rubargli ad esempio il cellulare, è meglio non opporre resistenza, ma informare subito l’adulto).
Insegniamogli anche che, allontanarsi fisicamente dalla situazione, può essere una strategia utile e questo non vuol dire scappare, ma evitare per proteggere se stesso.
Dovremo stare attenti a rafforzare costantemente la sua autostima in questo momento, utilizzando più possibile rinforzi positivi per ciò che fa e non rimproveri o critiche.
Possiamo aiutarlo a raccontare per iscritto i fenomeni e gli episodi che vive o semplicemente possiamo invitarlo a disegnarli: questi sono tutti i modi per elaborare il trauma molto utili ai fini terapeutici.
E naturalmente, non dimentichiamoci di valutare se la sofferenza di nostro figlio diventa importante, di chiedere aiuto ad uno psicologo che possa aiutare non solo il bambino, ma anche noi genitori a imparare delle strategie e degli interventi davvero utili ed efficaci.
Per appuntamenti con la dottoressa Francesca Santarelli, o info, potete visitare il sito Internet del suo studio: www.studiosantarellidecarolis.com