La parola d’ordine è “NON CEDERE”. Il bimbo urla come un matto? Se non viene accontentato grida come un ossesso? Sbatte i piedi e mima alla perfezione una crisi isterica? Insomma fa un sacco di capricci?
Scene già viste, vero? Io tante, troppe volte!
Bene, fa tutto parte del copione. O meglio “Fa tutto parte del piano” come direbbe l’Agente Speciale Oso!
Il bambino sta tentando semplicemente e con tutte le armi che ha a disposizione, ossia snervare mamma e papà, ad imporre la sua volontà.
Ma se l’adulto cede è la fine. Ha perso non la battaglia, ma direttamente la guerra.
Parola del pediatra Italo Farnetani, docente dell’Università di Milano-Bicocca.
E i numeri, su questo atteggiamenti, sono piuttosto inquietanti:
“Già a un solo anno di vita 30 mila bimbi italiani sono tanto intelligenti di cercare di imporre la propria volontà ai genitori a suon di pianti e urla. Un atteggiamento che diventa più comune fra i bambini di 2 anni, tanto da accomunarne 150 mila”.
Ovviamente deve essere chiaro che si tratti di un capriccio. Perché i bambini a quella età usano il pianto anche per esprimere fame, stanchezza o voglia di coccole. “Se il piccolo piange e urla perchè ha fame o vuole essere preso in braccio, di solito si calma entro 2 minuti, ed è normale e giusto che si esprima in questo modo entro i 12 mesi. Se invece si tratta di un capriccio, la scenata rischia di essere molto più lunga“, avverte Farnetani.
“Il pianto è normale per un bambino piccolo – spiega – nel primo anno di vita possiamo calcolare che i 562 mila bimbi italiani da 0 a 1 anno totalizzano tutti insieme 700 mila ore di pianto al giorno, l’equivalente di 80 anni – dice il pediatra – Inoltre più sono piccini, più è facile che ricorrano alle lacrime per esprimere
malessere o disagio: da 0 a 3 mesi in media il neonato piange 2 ore al dì, da 4 a 6 mesi si passa a 1 ora, da 7 a 12 mesi a mezz’ora al giorno“. Insomma, il concerto si ‘riduce’ con la crescita.
Ma occhio, perchè con il passare dei mesi si manifesta anche la personalità del baby-urlatore: “A 1 anno circa 30 mila bimbi italiani usano il pianto come arma per forzare il comportamento dei genitori e
di chi si prende cura di loro“, avverte Farnetani.
Un piccolo esercito rumoroso, protagonista di scenate al ristorante o al supermercato, che si infittisce “nel corso di quelli che sono ormai noti come ‘i terribili 2 anni’. Una fase in cui anche il bimbo più angelico mostra un atteggiamento di ‘ribellione'”.
Ma chi sono gli urlatori armati di pannolino e sonaglio?
Per lo più si tratta di maschi molto intelligenti e spesso con genitori alla prima esperienza, ma non mancano le femminucce con toni acuti degni delle sirene dei pompieri.
Farnetani, a parziale consolazione di mamma e papà, sottolinea che “sono bimbi molto intelligenti quelli che cercano di imporre la propria volontà prima dei 2 anni. Ecco che la casa, e soprattutto le uscite in pubblico, possono diventare teatro di una lotta di potere che vede soccombere i genitori permissivi, ma non quelli protettivi e autorevoli”, assicura l’esperto.
Ma cosa concedere e cosa no?
Ecco dunque il decalogo per aiutare i genitori a destreggiarsi con i baby-urlatori senza soccombere:
1) Accordarsi per decidere cosa concedere e su cosa, invece, mostrarsi inflessibili. “E’ fondamentale mettere dei paletti”, dice Farnetani.
2) Mostrarsi irremovibili sulle decisioni condivise: “Il piccolo ‘annusa’ la parte debole della coppia”.
3) Non alterare il proprio comportamento in seguito agli strilli, altrimenti si rischia di perdere “non una battaglia, ma la guerra”.
4) Non far capire che pianto e urla ci mettono in imbarazzo in pubblico: il piccolo li riserverà alle uscite per ottenere quello che vuole. “Meglio ignorare gli strepiti, parlare al bimbo con voce calma e tranquilla mostrandosi indifferenti. Se imbarazzati dagli sguardi altrui, meglio spiegare che si tratta solo di un capriccio piuttosto che cedere per farlo stare buono”.
5) Cercare di rispettare il più possibile gli orari del bimbo, in particolare quelli della pappa e del sonno. In questo modo sarà più tranquillo e meno irritabile.
6) Se a un anno vuole mangiare insieme agli adulti, è bene assecondarlo. Certo non potrà consumare tutte le stesse cose, ma assaggiare e guardare come si comportano i grandi può essere utile. Insomma, se fa i capricci per mangiare con mamma e papà, “si può tranquillamente concedere un posto a tavola”.
7) Quando si mette a strillare è bene che tutti, “genitori, nonni e tata, abbiano lo stesso atteggiamento. E non facciamoci ingannare da pseudo-credenze come quella secondo cui i maschi non vanno fatti piangere, sennò gli esce l’ernia”, dice Farnetani.
8 ) Non forzarlo ad andare a letto troppo presto o quando c’è troppa luce. “Meglio portarlo a nanna quando ha sonno, così dormire da solo nel lettino sara’ piu’ facile”, assicura.
9) Non imporgli tutto, ma solo le cose fondamentali. “Insomma, è giusto concedere qualcosa al piccolo urlatore, ma e’ vietato farlo quando strilla: deve imparare a chiedere, specie se è già grandicello”.
10) Non reagire mai con rabbia o frustrazione, ma mostrarsi calmi e imperturbabili. Questo, assicura il pediatra, disinnescherà l’arma ‘sonora’.
Scusate ma qua nessuno vi sta giudicando, mi sembra che vi stiate giustificando…
Io vi sto parlando da madre e vi sto esponendo il mio personale pensiero in merito all’articolo di cui sopra. Non sto dando consigli a nessuno. Non penso di essere un genitore perfetto, anche perchè per me non esiste, e tanto meno aspiro al bambino perfetto. Credo nella solidarietà fra esseri umani. Cerco di far conoscere i miei valori al mio cucciolo e lo faccio nel rispetto dei suoi tempi e della sua personalità.
Sono convinta che non ci sia un unico modo di vedere le cose, per me la diversità è un valore, una risorsa. Lascio sempre le porte aperte al dialogo e son sempre pronta a cambiare idea perchè credo sia giusto essere flessibili.
Sbaglio umanamente e ho tante debolezze. Chiedo scusa anche io a mio figlio quando sbaglio.
Ora vorrei solo chiedere una precisazione: cosa intendete per “ignorare”?
Io quando piange mio figlio lo lascio sfogare, ma sto li vicino a lui. Se piange una mia amica faccio lo stesso. Se credo che mio marito sbagli non lo ignoro. Se mi arrabbio per un non nulla mi fa piacere sentire che le persone che mi vogliono bene cercano di starmi comunque vicino e non mi ignorano.
Perchè sembra che per i bambini, che invece ne hanno più bisogno, certe attenzioni facciano male o non siano percepite?
@rossella31/ge1977/ciocco73: invece Fede quando era piu’ piccolo la maggior parte delle volte lo portavo via dalle giostre piangendo, poi abbiamo fatto un patto stabilire prima il numero di gettoni, quindi di giri da fare ad esempio 3. Io consegno un gettone per volta dicendo quanti giri mancano e chiedendogli di scegliere che gioco vuole fare, quando e’ l’ultimo glielo dico chiaramente e cosi’ evitiamo scenate…forse e’ il metodo forse e’ solo cresciuto pero’ adesso non abbiamo piu’ problemi.
Concordo con ciocco73 rispettare un bambino per me vuol dire anche concedergli il tempo di riflettere sulle nostre spiegazioni, per cui ben venga la passeggiata, ma anche i 5 muinuti di riflessione senza interferenze esterne, tutto quello che puo’ fargli interiorizzare quello che abbiamo detto…non sipuo’ pretendere che capisca e metta in pratica immediatamente le nostre parole, a volte il capriccio e la riflessione successiva fanno parte del processo
@ge1977/rossella31: SIIIIIIIIII a tutte e due!!!
@rossella31: anche con luca è così, se dico 2 giri sono 2 giri, gli dico “è l’ultimo poi scendi…” e lui scende senza problemi. anch’io le scenate non le tollero in pubblico, me ne ha fatta una all’asilo un giorno che sono andata io e all’inizio visto che piangeva l’ho coccolato, ma poi l’ho ignorato, e nell’uscire gli ho detto che non avevamo proprio fatto una bella figura davanti ai suoi amici e alle maestre e che non si fanno questi capricci. siamo poi tornati a casa a piedi (un bel pezzetto) raccogliendo foglie cadute e tutto si è risolto, mi ha chiesto scusa e mi ha abbracciato forte… credo di avergli dato il tempo, facendo la strada a piedi e qualcosa assieme, di pensare a come si era comportato e quando abbiamo ripreso il discorso si è scusato.
Ciao a tutte.
@ge1977, anche io voto si. Brava.
@Cristina, scusami, ma ho riletto tutti i tuoi commenti e non ho capito una cosa. Tu sostieni che non bisogna dire sempre di si, ma ignorare un capriccio non lo si può fare perchè il bimbo in quel momento sta manifestando un dolore, dettato magari da una mancanza di attenzioni e qualcosa successa a scuola. Non segui nessun metodo perchè le regole non sono applicabili a ogni bimbo. Ho fatto un piccolo riassunto, sentiti libera di correggermi se ho sbagliato. Premesso ciò, da mamma, ti dico: con il mio bimbo non applico nessuna guerriglia, parliamo, dialoghiamo e i no sono sempre spiegati. Anche se durante la spiegazione parte il capriccio io continuo; ma dopo che ho terminato la mia spiegazione al no, se le urla continuano lo ignoro. Quando si è calmato sono pronta subito a riprendere il dialogo, ma non durante la crisi. Lui urla e io che dovrei fare urlare più di lui. Accompagnarlo nella crescita significa anche ricevere un no, e credimi, se anche in quel momento lo abbraccio e lo contengo, quando i no li riceverà dal mondo, non credo ci possa eesere in quel momento qualcuno che lo coccola mentre gli dice no. Il capriccio, è un capriccio appunto, e come tale non va assecondato. Le crisi vengono e passano, dopo si parla e si spiega. Un’altra cosa: le scenate in pubblico non le tollero. La prima che ha fatto è stata l’ultima, portato via dal luogo della scenata gli è stato spiegato che mai e poi mai doveva più capitare. Antonio (mio figlio) ha due anni e mezzo, e ha capito che in pubblico non si fanno scenate. Se mamma dice che si fanno solo due giri sulle giostre, terminati i giri si va a casa, senza urla e senza pianti.
@Ge1977 sono anche io una brava mamma?
@ge1977: io ti voto SIIIII!!!!!
ge1977, non ho mai detto che sia giusto dire sempre si, se tu non lo ritieni giusto fai quello che ti senti in quanto adulto responsabile.
io non credo sia fondamentale che il bambino smetta immediatamente di piangere, si sta sfogando. io ho detto che quando un bambino piange non è giusto ignorarlo e non perchè la smetta, ma perchè è una persona che manifesta il suo dolore, per quanto a un adulto questo dolore sembri poco giustificato…
io non seguo il modello montessori, oggi ho letto di questo libro e mi sembravano parole molto belle da condividere.
e comunque sono punti di riflessione e non metodi rigidi da seguire e applicare in qualsiasi caso e con qualsiasi bambino.
altra cosa …. i miei bimbi non fanno MAI capricci per scendere dalle giostre ….. sono la mamma più brava del mondo?????? SIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII ………………………. 😉
beh….io sto tutte le sere vicino ai miei bimbi (dopo avergli letto un libro) finchè non si addormentano. se di notte si svegliano li tengo un po’ nel lettone con me, li coccolo, li riporto nel loro letto …. e resto li finchè non si riaddormentano! ma non è un capriccio volere la mamma vicino prima di dormire….
nessuno giudica un capriccio una richiesta di coccole…..come viene capito il capriccio per stanchezza, però come giustamente ha fatto ciocco, non bisogna assecondare il capriccio …. ma risolvere il problema stanchezza!!!
esempio di capriccio: dopo cena riky vuole la barretta kinder e fede no, io gli dico “guarda ke dopo non la mangi” … ok. qnd stiamo andando a lavare i denti …. gli viene in mente il famoso kinderino …. e io gli dico “amore, ormai stiamo andando a letto …. lo mangerai domani” …. pianti a dirotto … inconsolabili!!! per me sarebbe stato super semplice dargli il kinder …. lui avrebbe smesso di piangere …. sarebbe andato a lavarsi i denti e poi a letto!!! SAREBBE STATO GIUSTO COSI???
vorrei proprio una risposta, grazie….
@Cristina S.: ma tu non eri quella che diceva che non bisogna seguire schemi o metodi uguali per tutti? Anche tu segui un metodo quello Montessori…ognuno credo abbia i suoi punti di riferimento e le sue idee in merito all’educazione e tu non sei diversa dagli altri….
Comunque dai un’idea veramente disfattista dei genitori, io personalmente non mi ci riconosco e mi sembra che neanche le altre persone che scrivono su questo blog siano cosi’….
non abbandono mio filgio davanti a niente o nessuno anche quando non sono presente fisicamente perche’ a lavoro, ritengo la scuola una fonte educativa che deve collaborare con la famiglia non un parcheggio per bambini, partendo dal nido, anche se sono piuttosto severa ed intransigente su alcune regole non faccio mai mancare l’amore e la consideraizone a mio fgigio…e quello che faccoo io penso sia quello che fanno tutte le mamme e papa’ che amano i propri figli
Dal libro “LIbertà e amore” di Elena Balsano.
“I capricci e le disobbedienze del bambino – scriveva Maria Montessori – non sono altro che aspetti di un conflitto vitale fra l’impulso creatore e l’amore verso l’adulto, il quale non lo comprende.”3 E cita a questo proposito un bellissimo esempio: il bambino che quando va a letto la sera vuole il genitore di fianco a sé e gli dice: “ Guardami, stammi vicino!”. In genere questa richiesta viene interpretata dall’adulto come un capriccio e – come ci ricorda Maria – la risposta che viene data al bambino è “Non ho tempo, non posso, ho da fare!” oppure – potremmo aggiungere noi – “Sei grande! Non fare il bebè!”. I genitori pensano che non sia giusto accontentare il bambino perché altrimenti finiranno per diventare suoi schiavi e cercano di liberarsi di lui per non rinunciare alle proprie comodità (il che significa magari guardare la televisione). Sentite invece cosa dice Maria Montessori riguardo all’atteggiamento del bambino: “L’adulto passa accanto a questo mistico amore senza riconoscerlo: ma badate, quel piccino che vi ama crescerà e scomparirà. Chi vi amerà come lui? Chi vi chiamerà andando a letto, dicendo affettuosamente ‘Stai qui con me’, anziché dire con indifferenza ‘Buonanotte’? Chi desidererà altrettanto ardentemente starci vicino mentre mangiamo, soltanto per guardarci? Noi ci difendiamo da quell’amore e non ne troveremo mai un altro uguale!”4 Lo stesso vale per il bambino che la mattina appena alzato corre a svegliare i genitori, come se volesse – per usare le parole di Maria – chiamare il loro spirito. “Il padre e la madre dormono tutta la vita, tendono ad addormentarsi sopra tutte le cose e hanno bisogno di un nuovo essere che li svegli e li rianimi con l’energia fresca e viva che in essi non esiste già più: un essere che si comporti diversamente da loro e dica loro ogni mattina: ‘Alzatevi per un’altra vita, imparate a vivere meglio’. Sì, vivere meglio: sentire il soffio dell’amore”5. Parole forti queste, che scuotono e fanno riflettere. Se il bisogno del bambino di essere considerato e compreso – che è poi l’esigenza primaria di ogni essere umano – non viene soddisfatto, ecco che questi reagisce ribellandosi oppure annullandosi. Nel primo caso l’adulto risponde con la punizione o lasciando correre, soluzioni entrambe scorrette e controproducenti; nel secondo caso, in realtà più grave, in genere si ritiene fortunato ad avere un figlio così buono e ubbidiente e non si accorge nemmeno del dramma sotterraneo che invece questi sta vivendo.
Il bambino è capace di compiere imprese impossibili pur di farsi vedere e considerare dai genitori: rinuncia a parti di sé, ad aspetti della sua individualità pur di piacere e farsi amare dagli adulti che lo circondano. Ma quale sarà poi il prezzo da pagare per tale sforzo? La perdita della sua autenticità, della sua libertà, della sua vera natura.
Oggi, in un’epoca in cui si sbandiera tanta attenzione all’infanzia, i bambini sono in realtà per lo più abbandonati a se stessi, lasciati fin da lattanti per otto ore al giorno (orario di un operaio) nelle istituzioni (nido, scuola
ecc.) o affidati al turnover delle baby-sitter e nel migliore dei casi ai nonni quando sono piccoli; poi, quando sono un po’ più grandicelli, verranno lasciati soli in casa davanti agli schermi televisivi. Nello stesso tempo però sono per lo più soffocati di attenzioni e ipercontrollati: stravestiti, rimpinzati di cibo e imbottiti di farmaci.
Ma dare troppo è dannoso come dare troppo poco… specie se ciò che si dà non è quel che viene richiesto o di cui il bambino ha bisogno. In realtà si tratta di una forma mascherata di non-considerazione. Anche il lasciar correre e il non sapere mai dire di no, il non riuscire a mettere confini, è in fondo una forma di abbandono, anche se più subdola e difficile da riconoscere.
Il problema vero è che per educare un bambino occorre prima di tutto educare se stessi… E questa sì è una grande impresa!
Molto spesso noi non riusciamo a comportarci nei confronti dei nostri figli nel modo che vorremmo perché ci identifichiamo in loro, rivivendo nel loro dolore e nella loro sofferenza la nostra di quand’eravamo piccini:
il loro pianto che non riusciamo a reggere o la loro rabbia che non riusciamo a sopportare è in realtà la nostra… Così reagiamo comportandoci come all’epoca si comportarono i nostri genitori con noi (perché è ciò che abbiamo
inconsciamente assorbito e imparato) oppure facendo esattamente l’opposto, a costo di cadere nell’esagerazione contraria. Educare è un’arte che richiede la profonda conoscenza e padronanza di se stessi.
“L’adulto non ha compreso il bambino e l’adolescente – scrive la Montessori – e perciò è in una continua lotta con lui: il rimedio non è che l’adulto impari qualcosa intellettualmente o che integri una cultura manchevole.
No: è diversa la base da cui bisogna partire. Occorre che l’adulto trovi in sé l’errore ancora ignoto che gli impedisce di vedere il bambino. Se questa preparazione non è stata fatta e se non si sono acquistate le attitudini che stanno in rapporto con tale preparazione, non si può procedere oltre.”6
La verità è che “La preparazione all’educazione è uno studio di se stessi; e la preparazione di un maestro [ma anche di un genitore, aggiungo io] che deve aiutare la vita implica assai più che una semplice preparazione intellettuale; è una preparazione spirituale”7.
Il bambino e l’adulto – sostiene Maria – sono due facce della stessa vita e hanno due diverse missioni: l’uno di formare gli esseri, l’altro di guidare gli esseri formati. “Guai se si ritrovano in lotta: è solo dalla loro armonia che può nascere l’essere umano migliore di noi. Ma chi deve fare il primo passo è l’adulto: oltre gli sforzi esterni deve compiere uno sforzo immane su se stesso, per potersi avvicinare al bambino, per comprenderne l’animo: l’altra parte della sua stessa vita.”8
Diceva una famosa canzone di Giorgio Gaber: “Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all’amore: il resto è niente”…
Le ammine della vita
Ecco perché questo, che vi accingete a leggere, non è un testo di pedagogia ma un libro che parla di educazione.
Perché i bambini crescono e, dopo l’epoca del maternage, viene l’età in cui sono chiamati a confrontarsi con la realtà esterna, con tutti i problemi che questo comporta. E se è vero che ci preoccupiamo tanto di proteggere i nostri figli dalle malattie o di somministrare loro vitamine per farli crescere più sani e più forti, è altrettanto vero che non sempre pensiamo a offrire loro gli anticorpi necessari ad affrontare le sfide che la vita inevitabilmente
presenterà a ognuno di essi. I nomi di queste “immunoglobuline” e “ammine della vita” naturali sono: rispetto, fiducia, libertà e amore. Sentite cosa dice Maria a questo proposito: “Ora i problemi dell’educazione si risolvono con la semplicità, la fiducia e la stima del bambino. Ci sono dei pedagogisti che dicono che bisogna conoscere la pedagogia, ma la cosa fondamentale è invece la fiducia nel bambino, la fede nelle sue forze, il rispetto della sua personalità, il riconoscimento che egli è superiore a ciò che crediamo.”9 La fiducia è essenziale per crescere bene. Come ci ricorda Jeannette Toulemonde, se un bambino non si sente apprezzato, stimato, ascoltato, se viene continuamente criticato e rimproverato (“Combini solo guai”, “Sei un buono a nulla”), può prendere strade diverse: o si scoraggia e interrompe il dialogo (“Tanto nessuno mi crede, nessuno mi capisce”) e si rifugia nell’immaginazione o ancor peggio approda al mondo delle dipendenze (alcol, droga ecc.); oppure si ribella e se ne va di casa o, al contrario, diventa un lavoratore accanito per provare a se stesso e a gli altri che è degno di stima, che ha il diritto di esistere. In ogni caso porterà con sé un bagaglio di cui sarà difficile disfarsi: il dubbio sulle proprie capacità (“Ce la farò da solo?”) che paralizza l’azione, rende problematiche le decisioni, in una parola rovina la vita.
Rispetto, fiducia, libertà e amore: queste sono le fondamenta di una casa sicura, di una dimora confortevole da cui si può partire per avventurarsi nel mondo. È di questo che ha bisogno un bambino e di ciò parleremo nelle prossime pagine. O meglio, è di questo che ci parlerà Maria Montessori, offrendoci un nuovo sguardo sul bambino, “una prospettiva nuova dalla quale guardare la vita”10, una nuova chiave di lettura per reinventare la relazione con i nostri figli, i nostri alunni, i nostri bambini. E per renderla veramente speciale, come dovrebbe e potrebbe essere se fosse semplicemente “secondo natura”…