Quante volte avete sentito pronunciare frasi come: “Il bambino è attaccato alla mamma”.
E’ vero, tra mamma e figlio si instaura un rapporto simbiotico molto particolare.
Ma che cos’è davvero l’attaccamento?
Ce ne parla oggi la nostra psicologa amica, la dottoressa Francesca Santarelli.
Ecco cosa ci dice:
“Con il termine “attaccamento” ci si riferisce ad un sistema comportamentale tipico dei primati e in particolare della specie umana che ha lo scopo principale di garantire al piccolo la protezione dai predatori tramite il mantenimento della vicinanza a uno dei membri adulti della propria specie, identificato come figura protettiva.
Una volta identificata tale figura, il piccolo cerca di rimanergli costantemente vicino e di aumentare la vicinanza in condizioni di particolare stress o pericolo. La figura di attaccamento è in genere la madre biologica ma non sempre esiste una sola figura di attaccamento: se la madre non è disponibile il piccolo si rivolgerà a figure sostitutive.
Mi sembra utile sottolineare fortemente questo aspetto di co-costruzione della relazione di attaccamento tra mamma e bambino per due motivi:
L’aspetto cruciale dell’attaccamento nella specie umana è che attraverso la relazione con la figura di attaccamento il piccolo impara chi è e impara a imparare, condizione essenziale e strategica per la sua sopravvivenza. Imparare a imparare è lo scopo fondamentale della relazione di attaccamento e la rende un passaggio obbligato nell’itinerario di “umanizzazione” del piccolo.
L’importanza del comportamento di attaccamento è tale che i bambini piccoli sono impegnati per gran parte del loro tempo in attività ad esso connesse e lo mantengono anzi costantemente attivo: anche quando non ne sono consapevoli, i bambini prestano attenzione alla localizzazione fisica della figura di attaccamento (la madre) e alla sua accessibilità. Non si tratta di sapere dove essa si trovi ma di imparare delle strategie per mantenere un contatto, in questo modo il piccolo si garantisce la protezione dai pericoli e il mantenimento di condizioni che garantiscano la sua sopravvivenza.
Nelle ripetute esperienze di scambio, il bambino può, ad esempio, imparare che la sua figura di attaccamento rifiuta assolutamente le vicinanza oppure l’accetta solo nelle emergenze, oppure è presente e accessibile in maniera imprevedibile; il bambino dovrà allora individuare la strategia migliore per raggiungere e mantenere il grado di vicinanza preferita. In queste ripetute esperienze di scambio il bambino acquisisce quindi delle modalità tipiche di interazione e relazione con le figura significative che tenderà a riproporre nel corso della sua vita in tutte le relazioni importanti.
Sul problema di come si creino e si modifichino queste “modalità tipiche” di relazione tra il bambino e sua madre, è sempre più consolidata l’idea che entrambi i membri della relazione d’attaccamento (madre e bambino) concorrano insieme alla costruzione della relazione stessa. Sin dal momento della nascita e già durante la gravidanza, il piccolo partecipa alla costruzione della relazione e non è solo portatore di un’innata richiesta di vicinanza. Il suo aspetto fisico, la sua capacità di entrare in relazione, il fatto che dorma e si alimenti con facilità o che non conceda momenti di tregua ai genitori, la presenza di deficit sensoriali che ostacolano la possibilità di comunicazione, malattie fisiche che preoccupano i genitori, il suo temperamento, sono tutti fattori che concorrono a determinare la risposta più o meno accettante del genitore o della figura di attaccamento. In questo senso, è vero che una madre eccessivamente “preoccupata” per il suo bambino, che per via della sua preoccupazione sfavorisce che il suo bambino esplori , giochi e si diverta con l’ambiente circostante favorirà l’acquisizione di una modalità relazionale “preoccupata” ma ciò non esclude che la “preoccupazione” della madre possa derivare o essere acuita, ad esempio, da un problema di salute del bambino o da una condizione sfavorevole alla nascita.
– il primo è che così si evita di colpevolizzare le madri per le paure, insicurezze che il loro ruolo spesso comporta
– il secondo è che realmente il piccolo ha un ruolo attivo e non passivo nel determinare le reazioni di chi lo circonda”.
Per appuntamenti con la dottoressa Francesca Santarelli, o info, potete visitare il sito Internet del suo studio: www.studiosantarellidecarolis.com