Dietro l’obesità infantile si possono nascondere traumi emotivi e disagi

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Grasso è bello?

Non proprio! Dietro l’obesità infantile si possono nascondere tanti problemi, disturbi, traumi emotivi e disagi che a volte risalgono anche ai primi mesi di vita.

Ecco cosa ci dice a tal riguardo la psicologa amica, la dottoressa Francesca Santarelli:

“Negli ultimi anni ormai si parla spesso di obesità infantile e anche gli stessi pediatri cercano di fare il loro meglio per trasmettere una buona informazione e prevenzione in tal senso.
Questo perché si è visto che l’obesità adulta ha origini spesso nella obesità infantile e, come ormai si sa, visto che è considerata una vera e propria malattia, bisogna intervenire al più presto.

Il cibo nella nostra società non è più solo un mezzo di sostentamento, ma ha delle molteplici funzioni relazionali e psicologiche.
Spesso le madri stimolano il bambino a nutrirsi in modo eccessivo, convinte del fatto che un bambino “in carne” sia sinonimo di benessere psico-fisico. In realtà è una condizione patologica che può determinare molte complicanze.
Anche traumi emotivi e disadattamento sociale possono favorire l’insorgere e il persistere dell’obesità. Conseguenza dell’aumento di peso nel bambino può essere lo sviluppo di un disagio psicologico che può contribuire all’instaurarsi di un Disturbo del Comportamento Alimentare in età adulta, per la bassa autostima riscontrata nei bambini obesi.

Sedentarietà. Ore trascorse davanti a tv, computer, videogiochi, che lasciano poco spazio al movimento spontaneo e ai giochi, accudimento talvolta carente rimpiazzato da cibo e televisione, comportamenti alimentari familiari scorretti, portano al risultato che conosciamo.
Spesso quest’abitudine a mangiare in modo sregolato ed eccessivo nasconde un disagio psicologico e sociale, emotivo e relazionale che va letto e interpretato. Inoltre la fascia dei disturbi alimentari (anoressia, bulimia) si allarga sempre di più, non riguarda più solo gli adolescenti: l’età media si è infatti molto abbassata, al di sotto dei 13 anni, coinvolgendo anche bambini di età inferiore, come quelli delle elementari, fra i 6 e gli 11 anni.
La famiglia tipica della cosiddetta società del benessere sembra essere orientata verso modelli di relazione iperprotettivi e permissivi, che non consentono il graduale allontanamento dei figli dalle mura domestiche e non li motivano ad assumersi la propria parte di responsabilità e a sacrificarsi per conseguire degli scopi.

Secondo il modello psicoanalitico, spesso le patologie alimentari rimandano a difficoltà insorte nei primi scambi madre-neonato ovvero alle prime esperienze nutritive del bambino. Che sono anche esperienze sensoriali ed emotive di vitale importanza, per i processi che mettono in moto nella mente del bambino e per le ripercussioni che avranno successivamente sulla sua vita emotiva.
Quando il neonato piange si trova in uno stato di malessere, non necessariamente causato dalla fame. Ne è sopraffatto e proietta la sua angoscia all’esterno, sottoforma di pianto. Il compito della madre è di avvicinarsi empaticamente al bambino, per comprendere cosa lo fa star male. Per poter far questo, però, la madre però deve essere in grado di tollerare il malessere del bambino. Deve essere disponibile ad entrare in contatto con le sue emozioni violente, affrontarle, comprenderle e dotarle di significato. Es.: il tuo malessere è fame, freddo, colica ecc.. Così facendo restituisce al bambino una funzione pensante che nel tempo potrà fare sua. Che lo aiuterà a comprendere le proprie emozioni, dipanando grovigli confusi di sensazioni e impulsi.
Infatti se il bambino sperimenta il dolore e la frustrazione legati al bisogno, ma contemporaneamente fa un’esperienza buona di accudimento, impara a resistere nel suo stato di bisogno, perché sa che poi verrà aiutato: verrà dato un nome al suo bisogno e verrà alleviato il bisogno stesso. Questo è essenziale per lo sviluppo del pensiero.
Il cibo ha un significato simbolico molto forte: rappresenta un nutrimento affettivo oltre che fisiologico; così come la fame è anche fame di affetto, di comprensione, di vita, di imparare.

Un altro momento cruciale per il neonato è lo svezzamento che, dopo la nascita, è il prototipo dell’esperienza di separazione. È una tappa di vitale importanza nel cammino verso la separazione/individuazione. Perché è un allontanamento dal seno, che comporta anche la percezione di una maggiore distanza tra sé e la mamma.

Il miglior approccio comunque in questi casi è quello multidisciplinare, cioè un equipe specializzata nell’infanzia e costituita da medico, da uno psicologo e un nutrizionista, affinché possano lavorare insieme su più fronti, a partire da quello educazionale, psicologico e familiare”.

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Per appuntamenti  con la dottoressa Francesca Santarelli, o info, potete visitare il sito Internet del suo studio:  www.studiosantarellidecarolis.com 

Francesca Santarelli è in libreria con il libro “Mamme No Panic”, scritto a quattro mani con Giuliana Arena.