“Signora, mi dispiace, non c’è più battito!”
Questa è la frase che tutte le donne che aspettano un bambino hanno il terrore di ascoltare dal proprio ginecologo.
Poche parole che gelano un sogno, quello di diventare genitori.
Poche parole che pesano come un macigno che nessuno riesce a smuovere.
Un dolore intimo, profondo che devasta e dilania, ma che pochi riescono a comprendere.
Oggi parliamo di interruzione di gravidanza, di aborto, e lo facciamo con la psicologa amica, la dottoressa Santarelli e con Giorgia Cozza.
“Care mamme, oggi vorrei condividere con voi un tema molto spinoso, doloroso, che molte di voi (per difesa o altre motivazioni personali) avrebbero voluto magari evitare di leggere, ma altre (magari chi si è trovato a vivere personalmente una situazioni simile) potrebbe invece trovare tra queste righe, un piccolo conforto o una voce amica che le faccia sentire meno sole.
Anni fa ho gia trattato l’argomento, ma durante questa estate ho avuto modo di conoscere una persona che, con i suoi libri, mi ha toccato davvero il cuore. Si chiama Giorgia Cozza, giornalista, autrice di numerosi saggi per genitori, e mamma di quattro figli, che ha affrontato questa tematica nei suoi due libri: “Quando l’attesa si interrompe” (Il leone verde, 2010) e “Goccia di vita” (Ave, 2010).
Ho scoperto lei e questi testi grazie ad un suo articolo scritto per il sito Mamme Acrobate.
Leggendoli, vi riporto le parti che mi hanno commosso di più e poi, insieme, faremo qualche riflessione in merito.
“E purtroppo a volte accade: poche parole che mettono fine a un sogno, il più bello, quello di diventare madre, un dolore che, ad oggi, la nostra società tende a non considerare.
Un dolore di cui non si parla, che è quasi un tabù.
Tutto il ‘conforto’ che la donna può aspettarsi in genere si riduce a frasi banali che spesso la fanno sentire peggio: “Per fortuna eri incinta solo di tre mesi”, “E’ la selezione naturale” e “Avrai altri bambini”. Così al dispiacere si aggiunge anche la consapevolezza di non essere comprese. Ci si sente sole. Sole con un dolore che il resto del mondo – a volte anche chi ci è più vicino – non riconosce e quindi non accoglie.
Scoprire che il proprio bambino non c’è più, che la gravidanza – con i suoi progetti, le sue fantasie, le sue aspettative – si è interrotta, è un’esperienza traumatica e come tale merita attenzione e rispetto, al di là dei tempi, modalità e contesti.
Perdere un bimbo nell’attesa è un vero e proprio lutto e come tale, richiede una vera e propria elaborazione. Dallo shock iniziale in cui tutto appare irreale, si passa attraverso la consapevolezza dell’accaduto con tutto il suo carico di dolore.
Le emozioni che caratterizzano il periodo immediatamente successivo alla perdita, sono spesso mutevoli e contrastanti: di fondo c’è il dolore e, a secondo dei giorni e dei momenti, si possono avvicendare la tristezza, l’agitazione, la collera.
In alcuni casi può capitare di sentirsi a disagio di fronte alle proprie reazioni: la società tende a minimizzare la sofferenza di una perdita avvenuta prima della nascita e la donna può temere che le sue emozioni siano “esagerate”. In realtà si tratta di sensazioni fisiologiche, assolutamente normali quando ci si trova ad affrontare un evento luttuoso.
Per questo è importante non negare o ignorare quello che si prova, ma lasciare libero sfogo alle proprie sensazioni: il pianto è davvero liberatorio, non ha senso trattenere le lacrime o non esprimere eventuali emozioni negative.
E quando ci si sentiamo pronte per farlo, parliamo del nostro bambino, di quello che è accaduto, della nostra delusione. Con il partner prima di tutto. E poi con le persone che ci sono più care, parenti e amiche. Molto probabilmente vorrebbero aiutarci, ma – magari – non sanno come fare, cosa dire. In realtà il silenzio e l’ascolto empatico valgono più di mille parole.
Spieghiamo loro che non abbiamo bisogno di ascoltare parole di vuota consolazione, ma di poter dar voce al nostro dolore, sentendoci accolte e amate.
Se si accetta di vivere il proprio dolore, se non si fugge, ma si vivono le emozioni fino in fondo, il processo di elaborazione si compie e si conclude.
Fingere che vada tutto bene, mettersi fretta (o accettare che chi ci sta intorno ci metta fretta) per adeguarsi alle aspettative altrui o per mostrarsi ‘forti’ può rallentare il processo di elaborazione. Ogni tappa, ogni passaggio per quanto doloroso, di questo processo, deve necessariamente essere vissuto, per arrivare a recuperare la serenità, per potersi sentire davvero meglio.
Se si ha la possibilità di farlo, ricordiamo che incontrare altre madri che hanno perso un figlio nell’attesa è un’opportunità preziosa per potersi sfogare con la certezza di essere davvero compresi. Ed è un’opportunità anche per scoprire di non essere soli e che quello che stiamo provando è del tutto normale.
Con il trascorrere del tempo, la situazione migliorerà progressivamente, il disagio si attenuerà e le emozioni negative diventeranno sempre meno frequenti e più gestibili.
Giorno dopo giorno, il dolore si trasformerà, si evolverà, si preparerà a diventare qualcos’altro: non più struggimento e disperazione, ma ricordo, nostalgia, accettazione.
Può accadere che, con il succedersi delle settimane, mentre la donna pian piano si accorge di star meglio possa temere di dimenticare: questo timore è causa di un intenso disagio. Ma il rischio di dimenticare, in realtà, non esiste.
Un bambino perso, non è perso per la sua mamma. Lei lo custodisce per sempre, al sicuro, nel suo cuore”.
Direi che Giorgia ha descritto cosi tanto chiaramente quello che una donna si ritrova a vivere in un’esperienza cosi terribile e traumatica per la psiche umana, che mi risulta difficile aggiungere altro.
Nel mio studio, spesso mi capita di accogliere mamme che hanno perso un bimbo, con un carico di dolore e un senso di solitudine talmente profondo che, anch’io, pur essendo una professionista con anni di esperienza, faccio fatica a scindere il mio essere madre e a tener scissa la mia emotività.
L’unica cosa che posso aggiungere alle parole di Giorgia, per mia esperienza personale nell’ambito della psicoterapia clinica, è poter offrire qualche spunto di riflessione per ciò che concerne l’elaborazione di questo lutto. Perché, oltre a riconoscersi nel troppo dolore che lei stessa ha descritto benissimo in situazioni come queste, molte pazienti mi chiedono poi esplicitamente “come fare per superare questo trauma, come gestire e vivere la rabbia, l’impotenza, la tristezza e a volte il senso di colpa che ne deriva da questa terribile esperienza”. Vorrei, di fronte a queste richieste cosi tanto “umane”, avere quella famosa bacchetta magica che spesso mi chiedono per alleviare il dolore, ma ahimè….qualcuno ancora la deve inventare…e spero di poterlo fare io un giorno…
- Condividere il dolore con il proprio partner
Il primo consiglio è quello di non chiudersi in se stesse, ma di tirar fuori tutti i pensieri, le emozioni e le sensazioni che proviamo senza censura, ne giudizio. Il proprio compagno è la persona a noi piu vicina e anche lui ha vissuto il trauma di questo lutto sulla propria pelle. Bisogna però mettere in conto che gli uomini, non possono comprendere, per natura, quello che una donna può sentire dentro di sé fin dal primo momento in cui sa di aspettare un bambino, ne tanto meno quello che può sentire di fronte ad un aborto spontaneo. Oltre questo, consideriamo anche la differenza dei due sessi nel vivere e sentire la propria parte emotiva e razionale.
Ecco perché, nella condivisione di tale dolore, sarebbe un errore partire con delle aspettative specifiche nelle reazione del proprio compagno. Non possiamo fargli una colpa se lui sembra non capire o magari potrebbe vivere questa esperienza con una modalità e gestione del dolore molto diversa dalla nostra o da quello che ci aspetteremmo da lui. Mettiamoci poi, che ognuno ha una sua strutture di personalità, una sua caratteristica gestione delle emozioni che a volte, puo passare anche per indifferenza. Accettiamo che lui ha il suo modo di vivere e sopravvivere a tale esperienze e non lasciamoci frenare da questo o far si che tutto ciò ci allontani da lui, facendoci chiudere in un bozzolo di dolore in solitudine.
- Accettare e non giudicare le emozioni che si provano
La cosa piu difficile per molte persone, è “stare” nelle emozioni, soprattutto se negative. È molto più facile razionalizzare, cercare di negare, distrarsi o spaventarsi e giudicare rispetto a quello che si prova. In situazioni come queste invece, occorre proprio fermarsi un attimo a “sentirsi” e provare a stare in ascolto di quello che il nostro corpo e la nostra mente ci dicono. Pensieri ed emozioni dentro di noi, qualunque essi siano, hanno motivo di esistere. Scacciarli o far finta che non si ci siano, non fa altro che prolungare e rimandare un qualcosa con cui prima o poi dovremo, inevitabilmente, fare i conti.
- Confrontarsi con persone che hanno vissuto un esperienza simile
Condividere con le altre donne che hanno vissuto un aborto spontaneo ti farà sentire capita piu profondamente e ti accorgerai di non essere sola. Ti meraviglierai dalla quantità di donne che hanno affrontato il tuo stesso dolore e dal fatto che le loro storie di sofferenza e/o di guarigione sono piuttosto simili alla tua. Come avviene con qualunque cosa, è sempre meglio interagire e/o connettersi con persone che hanno vissuto la tua stessa esperienza. Inoltre, quelle che l’hanno affrontato prima sono molto utili per fornirti ulteriori consigli su come gestire la situazione, perdonare te stessa e voltare pagina.
- Chiedere aiuto ad un professionista
Se dovessi renderti conto che da sola o, con i consigli descritti sopra, il tuo carico di dolore è troppo forte da sopportare o ti senti eccessivamente sola in questa elaborazione del lutto, non vergognarti ne spaventarti di chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta. Molto spesso, una persona estranea, puo farci sentire molto meno sole di tutte le persone care che abbiamo intorno. Questo non perche sia piu bravo di altri, ma perche con lui si puo creare un terreno differente per accogliere, gestire ed elaborare il lutto. oggi poi, esistono anche molte tecniche cognitivo comportamentali che possono, in alcuni casi, accelerare i tempi di recupero”.
Per appuntamenti con la dottoressa Francesca Santarelli, o info, potete visitare il sito Internet del suo studio: www.studiosantarellidecarolis.com