Perchè nelle favole e anche nei cartoni animati che tanto piacciono ai bambini, le storie (anche quelle più famose come Biancaneve, Cenerentola, La Sirenetta, Bambi, Peter Pan, solo per citarne alcune) sono sempre accompagnate da fatti truci, come la morte della mamma, o quella del papà, l’abbandono, etc?
C’è davvero uno studio fatto da team di psicologi? E queste storie aiutano i bambini o li spaventano?
Insomma possiamo continuare a raccontargliele senza timore o sarebbe meglio inventarne di nostre e magari più soft?
A me, personalmente, ha sempre colpito Hansel e Gretel, lo trovo un concentrato di sfighe e di crimini non da poco: dalla morte della mamma, all’arrivo della matrigna cattiva, all’abbandono da parte del padre buono ma debole, al sequestro di persona, all’omicidio, al furto con scasso, e chi più ne ha più ne metta.
Oggi la nostra Psicologa Amica, la dottoressa Francesca Santarelli affronta questo tema e ci svela cosa si nasconde dietro queste favole.
Naturalmente prima di affermare certe cose mi informo sulle tematiche di cui non sono certa e vi garantisco che quando è un mio parere personale lo sottolineo sempre.
E ahimè, da mamma capisco bene le vostre perplessità, ma credetemi che la mia affermazione è validata e veritiera sotto tutti i punti di vista.
Ma chiediamoci dunque, perché nei cartoni animati di una delle case cinematografiche per bambini più importanti al mondo, sono affrontate tematiche cosi dure come morti improvvise, cuccioli orfani, matrigne e mostri cattivi?
In effetti, la musa dei sette nani è senza famiglia e vive con una regina cattiva, Dumbo la mamma ce l’ha ma ne viene separato appena nato. Non parliamo di Bambi, che perde la madre uccisa dai bracconieri e incontra il padre solo da adulto, o del protagonista del Libro della giungla, Mowgli, abbandonato nella selva indiana e adottato da un branco di lupi. Non hanno i genitori né Peter Pan né Tarzan, archetipi di vitalità e indipendenza, e in Alla ricerca di Nemo il pesciolino un padre ce l’ha, ma impiega due ore di film per incontrarlo.
Ci sono poi i rapporti controversi: La sirenetta Ariel, ad esempio, con papà Nettuno non va affatto d’accordo, e non va meglio a Cenerentola, che viene affidata a una matrigna psicotica. La protagonista de La Bella e la Bestia è senza madre, Gli Aristogatti senza padre, Il Re Leone vede morire il suo in modo atroce e Red e Toby e Artù, de La spada nella roccia, sono direttamente orfani. Stessa storia quando i protagonisti sono in carne e ossa: l’idolo dei teenagers Hanna Montana vive col padre (la mamma è morta), e anche nel film Cambio di gioco alla piccola protagonista manca la figura materna.
Ma c’è proprio bisogno di orfani e matrigne nelle fiabe? E se sì, perché?
La necessità delle fiabe sta proprio qui: affrontano in modo simbolico aspetti problematici dell’esperienza del bambino e offrono delle soluzioni. In modo simbolico, ad esempio, una matrigna rappresenta la “parte cattiva” di ogni madre, cioè le difficoltà di rapporto, le incomprensioni, la sensazione che il bambino prova di aver subito delle ingiustizie, la paura delle punizioni, etc. Allo stesso modo, l’orfano rappresenta una condizione in cui il bambino si appresta a fare a meno del genitore, a tollerarne l’assenza e affrontare la vita senza il suo sostegno per conquistare la sua autonomia.
E’ proprio questo il motivo per cui il bambino ha bisogno della fiaba, per riuscire a padroneggiare la sua esperienza e le emozioni ad essa collegate.
Tutte le fiabe, non solo quelle di Disney ricorrono in modo massiccio a questi motori narrativi, e non è affatto strano, considerato che la vita relazionale del bambino è incentrata sui genitori.
Bisogna anche tener conto di un’altra cosa: i bambini di oggi tendono ad essere troppo protetti, rispetto al passato, dagli aspetti meno belli della vita come ad esempio la morte, la perdita, la cattiveria, l’invidia, ecc… Si tende a voler colorare per loro un mondo “tutto rosa” e senza fatiche e frustrazioni, cosa che si sa, non esiste neanche nelle favole.
Proprio in queste infatti, troviamo ogni aspetto della vita vera, animata sia da personaggi mossi dalle migliori intenzioni, sia però anche tutto il contrario: troviamo cuccioli senza genitori o con uno solo di essi, realtà tutt’ora ancora più attuale di un tempo, genitori portati via, uccisi o allontanati, che fa male lo so, ma purtroppo fa parte della vita vera di bambini meno fortunati di altri…
Insomma, le favole in fondo, se ci pensiamo, aiutano davvero a rispecchiare non solo tutte le sfaccettature della vita di ogni bambino, ma permette anche attraverso i personaggi, di far si che il bambino trovi in essi proiettati i proprio fantasmi interiori, intesi in moti di rabbia, gelosia, solitudine e tutta una serie di emozioni negative e spiacevoli che altrimenti non saprebbe dove veder rispecchiate.
La stessa cosa, come dicevamo prima, può rivivere su matrigne e streghe cattive, gli aspetti negativi del rapporto con la propria mamma e il proprio papà.
Forse non sapete che uno dei primi psicologi per bambini, una certa Melanie Klein, parlava dello stesso seno della mamma “ il seno buono e il seno cattivo”, proprio per identificare il fatto che ogni bambino vive l’ambivalenza di sentimenti ed emozioni nei confronti della mamma come buoni/cattivi- positivi/negativi.
Ecco che nelle favole Disney troviamo allora tutti questi aspetti.
Certo è che, per chi non è del mio campo e non conosce la psicologia infantile, possono sembrar strane e bizzarre le scelte di tante negatività dei cartoni animati….ma spero che con questa, se pur superficiale spiegazione, possa aver appianato un po’ di vostri dubbi a riguardo.
Come sempre, se avete domande o dubbi a riguardo, chiedetemi pure!
Un abbraccio
Francesca Santarelli”
Per appuntamenti con la dottoressa Francesca Santarelli, o info, potete visitare il sito Internet del suo studio: www.studiosantarellidecarolis.com