Oggi Rossella Martinelli ci propone un’intervista particolare a Francesca Del Rosso.
Chi è, direte voi? E’ una mamma speciale, come tante. Una mamma che ha saputo combattere un mostro aggueritissimo ed è riuscita a sconfiggerlo a testa alta.
Una donna con un sassolino, un terribile cancro al seno.
Lei soprannominata carinamente Wondy, ha voluto raccontare la sua storia, per fortuna a lieto fine, per dare forza e coraggio a tutte le donne che stanno vivendo la sua stessa disavventura.
Un’intervista da 10 e lode!
“Tutte le mamme sono un po’ delle Wonder woman, ma ce n’è una cui è toccato esserlo più di noi. Francesca Del Rosso – da sempre soprannominata Wondy dagli amici per il suo essere self made/donna dalle pile inesauribili – fino a qualche anno fa era una mamma normale: un fagocitante lavoro in redazione, due bimbi (con tanto di seconda laurea tra l’uno e l’altro), un marito (Ken), una casa da tenere, una voglia matta di viaggiare e zero tempo libero.
Una madre, dicevamo: una che prima di mettere a nanna la Iena e Attilino, rispettivamente 4 e 2 anni, dà loro dieci baci e dieci carezze e guai a non farlo. Ma all’improvviso tutto cambia.
Una gita in montagna, un sassolino al seno, un’operazione d’urgenza cui ne seguirà un’altra, due seni asportati e, già che ci siamo, togliamo anche le ovaie, perché non basta la sfiga di avere un tumore, no: deve essere anche uno dei più spietati e degenerativi che ci siano. E farti vivere con il terrore che la tua prole possa esserne colpita perché tu, a tua volta, lo hai ereditato da tua madre e lei da tua nonna.
Poi un giorno arriva il tuo minuscolo ometto – che ha deciso che la tua crapa pelata sia il luogo ideale sopra cui incollare le sue figurine – e ti chiede: “Mamma, ma se tu muori io come faccio a trovare la strada?”. E tu devi comunque continuare a sorridere, dare risposte e persino infondere speranze: anche quando realizzi di non aver “perso solo il seno, ma un pezzetto di te”, perché con quelle tette fallate hai allattato i tuoi figli. O constati con amarezza che basta, non potrai più averlo quel terzo figlio sul quale avevi vaneggiato durante una bella vacanza al mare; e fa male, “perché una cosa è non voler avere un terzo bambino, un’altra non poterlo avere”.
Tutto questo Francesca-Wondy – due figli, un marito, tanti progetti – lo racconta in “Wondy, ovvero come si diventa supereroi per guarire dal cancro”.
Poche lacrime, zero pietismi, tanta ironia, perché lei è una galla: una che ammette leziosamente di non essersi mai sentita così figa come durante le chemio, perché era magrissima; una che i liquidi chimici che le sparavano in corpo ha deciso di chiamarli crodino e sangria. Una che, sono certa, apprezzerete ancora di più dopo questa intervista.
Essere la mamma di due bambini piccoli dovrebbe essere una aggravante nel momento in cui si scopre di avere un tumore. Invece parlando con te si ha l’impressione che la forza che hai avuto nell’affrontare la malattia derivi proprio dal tuo essere mamma.
“Hai ragione. Il fatto che fossi giovane, energica e con due figli piccoli mi ha dotato di armi in più per lottare contro il cancro. Mi sono riempita di forza e coraggio per sfidare il destino”.
Hai dichiarato che il cancro è come la maternità: ci sono un prima e un dopo a fare da spartiacque alla propria vita. Dopo la malattia è cambiato il tuo modo di essere mamma?
“In parte sì, perché ora sono ancora più attenta ai bambini e me li coccolo di più . Quando tocchi con mano il vero senso di precarietà che sottende la nostra esistenza, ti rendi conto che goderti i tuoi figli è una priorità. Ciò non significa che abbia rinunciato ad andare al cinema da sola con mio marito o che, di tanto in tanto, non li lasci alla tata: sono sempre Francesca e mantengo la mia identità”.
Hai comunicato da subito ai bambini di avere dei sassolini nel seno: una scelta in antitesi con quella che fece tua madre quando le venne diagnosticato il medesimo tumore.
“Ho ricordi vaghissimi di quel periodo: ero molto piccola e sono grata a mia mamma di non avermi resa partecipe di quanto stava accadendo. Nel suo caso era stato possibile perché non ha mai perso i capelli, mentre io sapevo che sarei rimasta calva e che i bambini avrebbero capito che qualcosa non andava, nel trovarsi di fronte un’immagine tanto forte. Non avevo alternativa”.
E se non avessi perso i capelli, glielo avresti detto?
“Non lo so. Tendenzialmente sono per la trasparenza totale”.
Oltre al post scintigrafia ci sono stati altri momenti in cui non hai potuto stare a contatto con loro?
“In realtà il divieto era soltanto per le prime 24 ore. E non sono mai stata ricoverata più di 3 giorni: loro venivano a trovarmi. Non hanno vissuto in maniera drammatica la mia assenza perché fin da piccoli li ho abituati a brevi trasferte a casa dei nonni”.
Ci sono bimbi che imitano le nausee delle mamme incinte simulando i conati. La Iena e Attilino non hanno mai cercato di emulare qualcosa?
“Ho sempre cercato di proteggerli, nascondendomi dai loro occhi quando dovevo vomitare. Invece abbiamo giocato molto con le parrucche comprate dai cinesi, che non ho mai indossato per uscire: una bianca e l’altra nera (io sono sempre stata bionda). Le indossavamo tutti quanti – anche mio marito – e ci scattavamo buffissime fotografie”.
Le parrucche le hai buttate?
“No, sono ancora sotto al letto e, a volte, ci giochiamo ancora: le abbiamo dissotterrate a Carnevale”.
Oltre a farti incollare le figurine sulla testa, come interagivi con loro nei lunghi periodi in cui eri costretta a stare immobile sul divano?
“Potevo fare ben poco: stavo davvero male. Allora proponevo di sederci tutti quanti sul divano a guardare un cartone animato e loro ne erano entusiasti. In realtà ero talmente debole che nemmeno riuscivo a fissare la tv: mi limitavo ad ascoltare. Abbiamo comunque cercato di far trascorrere loro dei piccoli momenti di felicità: i nonni ci regalavano leccornie e mio marito li portava spesso al ristorante, di modo che io non dovessi sentire l’odore di cibo in casa (avevo nausee fortissime). E spesso andavano a giocare dagli amichetti”.
Ora sei in perfetta salute: i bimbi ti fanno mai domande relativamente a quel periodo?
“Solo una volta ho chiesto a mia figlia: “Ti ricordi quando la mamma non aveva i capelli?”. Lei mi ha risposto: “Sì, ed eri più brutta di adesso!”. E dire che la prima volta che mi aveva vista rasata si era lasciata andare ad un “Mamma, sei bellissima!”. Poi, quando i capelli sono ricomparsi, andava in giro per la scuola raccontando a tutti che la mamma era finalmente guarita. Il mio tumore non è un argomento tabù: a volte se ne parla e, la mia speranza, è che per loro quel momento non resti un trauma. Ad ora pare di no: sono due bambini felici, che hanno reagito bene di fronte a quello che hanno vissuto indirettamente. La fortuna mia e di mio marito è stata la rete di amore che ci ha avvolti e supportati: la tata, i familiari, gli amici. Ci sono stati sempre vicini, portando i bimbi a giocare e a divertirsi, di modo che non vivessero quel periodo in maniera drammatica”.
Un giorno Attilino ti ha chiesto: “Mamma, se tu muori come faccio a trovare la strada?”. Hai mai pensato “non li vedrò crescere”?
“Ci pensi: come puoi non farlo? Sai che è un pensiero totalmente inutile, perché riflettere sulla possibilità che potresti morire non solo non dà soluzioni e risposte, ma ti porta a vivere in una condizione psicologica troppo faticosa e infruttuosa. Solo una cosa si può fare: scegliere di curarsi, affidandosi alla medicina”.
Pensi che un approccio ottimistico possa aiutare a guarire?
“Ci sono studi scientifici che lo dimostrano: sottolineano che è importante il modo in cui si affronta la malattia, perché la guarigione dipende anche da quello. Non so se sia vero, ma di certo essere forti e sorridere aiuta a vivere meglio i momenti difficili”.
Il libro che hai scritto è un po’ un diario per i tuoi bambini?
“Sì. Anche se da quando sono nati io e mio marito teniamo due veri diari in cui annotiamo i momenti salienti delle loro vite: aneddoti, frasi o parole buffe. È un modo per fermare i momenti più belli”.
Che consigli dai a una mamma a cui viene diagnosticato un cancro?
“Ahimè non è una circostanza così rara, considerato che in Italia una donna su otto è colpita da tumore al seno. La cosa più importante è non abbattersi: viene naturale buttarsi giù, ma dobbiamo sempre ricordarci di combattere per i nostri bambini. L’amore incondizionato che proviamo per loro e che loro hanno nei nostri confronti deve essere la fonte da cui trarre l’energia necessaria per guarire. Bisogna tirare avanti: giocare con loro e, soprattutto, imitare la loro capacità di sapere ridere per poco. Il sorriso è un’arma la cui potenza viene sottovalutata. E, soprattutto, sorridere non costa nulla”.”
Se volete sorridere con Wondy ma soprattutto se, come lei, pensate che siamo tutte un po’ Wondy – perché la felicità e il dolore sono democratici, perché anche voi/vostra madre/qualche amica avete sconfitto o state lottando contro un tumore o perché non potete fare a meno delle carezze e dei baci ai vostri bambini quando li mettere a letto – partecipate a #Wondysonoio. Cos’è? Un selfie – oddio che parola tremenda – in cui, usando la copertina del libro, rubate a Francesca gli occhi vispi e i capelli biondo platino. Poi la postate su Twitter (https://twitter.com/wondy74) o su Facebook (https://www.facebook.com/lechemioavventurediwondy?ref=ts&fref=ts), con hashtag #Wondysonoio. Un’unica raccomandazione: sorridete! Sennò che Wondy siete?