Questa settimana Rossella Martinelli ci regala un’intervista bellissima alla Dj Paoletta.
Non aggiungo altro. A voi:
“Nel lungo inverno nevoso in cui è nata la mia bambina ho messo piede fuori casa la sera una sola volta: non per andare a cena, in discoteca o a fare un aperitivo, ma per partecipare a un corso che la Croce Rossa di Bergamo aveva promosso per insegnare a mamme e papà come praticare la disostruzione delle prime vie respiratorie.
“Che paranoica!”, penserete voi.
Ma la realtà è che si tratta di uno spettro che mi terrorizza sin da piccola. Nel paesello in cui sono cresciuta c’era una donnina dimessa e con gli occhi tremendamente tristi. Aveva sì e no 40 anni, ma ne dimostrava almeno dieci in più e non parlava mai: peculiarità che faceva a pugni con la sua attività di commerciante. Accanto alla cassa del suo negozio di fiori troneggiava la grande foto di una bambina. Un giorno chiesi a mia madre chi fosse e scoprii quale lacerante dolore si annidasse nel cuore della minuta venditrice. Perché quella ritratta era sua figlia, morta soffocata dal nocciolo di una susina. Da quel momento, nel mio immaginario, le susine sono diventate la mela avvelenata di Biancaneve: mai mangiata una in 32 anni e, a dirla tutta, ho scoperto solo di recente quale fosse il loro aspetto. Ma soprattutto, ciclicamente, ripenso a quella mamma e a quale inferno debba essere sopravvivere alla morte di un figlio, affrontando ogni nuovo giorno nella speranza che il proprio cuore smetta di battere; e zittire la sveglia, la mattina, realizzando che si tratta dell’ennesima, maledetta giornata, senza il tuo bambino.
L’idea che alla mia piccola possa andare di traverso un boccone e che io sia chiamata a mettere in pratica le manovre – che ogni tot mi riguardo su YouTube – mi fa gelare il sangue e mi chiedo spesso se ce la farei a metterle in pratica. Ecco perché, quando mi sono imbattuta nella storia di Paoletta – una delle voci più celebri della radiofonia italiana, oggi speaker di Radio Italia (in passato di Deejay, Rtl e 101) – mamma di Samuele, 2 anni e mezzo, ho immediatamente voluto condividerla con voi. Perché grazie a un corso della Croce Rossa frequentato casualmente qualche mese prima, Paoletta è riuscita a salvare la vita del suo bimbo. Una manna, tanto che ora si sta battendo per rendere obbligatoria per legge la conoscenza delle manovre salva vita infantili negli asili, dando la dovuta formazione alle maestre, ma anche perché sia tenuta una lezione approfondita ad hoc nei corsi di preparazione al parto (qui potete firmare la petizione http://www.paolettablog.com/blog/?q=node/4029). Perché – mi si accappona la pelle nello scriverlo – in Italia muore un bimbo a settimana per ostruzione da corpo estraneo.
Raccontaci cosa è successo il giorno in cui hai salvato la vita a Samuele.
“Era agosto e stavamo giocando. Samuele afferra un biscottino e cerca di ingoiarlo senza masticarlo: smette immediatamente di respirare. Non riesce nemmeno a piangere, ma gli occhi gli fuoriescono come quelli di una rana: un urlo muto di disperazione. Non ho avuto un momento di esitazione e ho reagito in maniera lucida, senza fare errori abissali come mettere il bambino a testa in giù. Ho ripetuto la manovra di disostruzione per cinque volte consecutive, sebbene solitamente basti farla una, massimo due volte per espellere il corpo estraneo: probabilmente non avevo messo troppa forza, ero stata troppo delicata. Sono stati i 40 secondi più lunghi e brutti della mia vita”.
Come hai fatto a reagire in maniera tanto lucida?
“Il panico ti rende iperattivo e, per questo, incredibilmente lucido: la nebbia si dipana perché sai di non avere tempo per la paura. Era agosto, ero a casa da sola, nemmeno c’erano i vicini: sapevo che se non fossi intervenuta immediatamente e avessi aspettato il 118, lo avrei perso. È come quando hai un’interrogazione e, pur essendo agitatissima, rispondi perfettamente perché sennò sai che sarai bocciato”.
Come ci eri finita al corso della Croce Rossa?
“Mi avevano invitata qualche mese prima come madrina e, in quanto tale, mi dovevo esibire con il bambolotto per mostrare come si effettuassero le manovre di disostruzione: le avevo dovute imparare bene. Probabilmente, non fossi stata scelta come madrina, non ci sarei andata perché di fronte a quel genere di cosa mi comporto da vigliacca: metto la testa sotto la sabbia e penso “tanto a me non può succedere”.
Samuele è rimasto traumatizzato dopo quanto accaduto?
“Fino a qualche tempo fa ti avrei detto di no, ma ora mi sono ricreduta. Quel giorno, come sempre in quel periodo, eravamo in macchina a fare il suo gioco preferito: auto spenta, lui al volante che fingeva di guidare. Lo faceva tutti i santi giorni e restavamo lì una ventina di minuti: non lo ha mai più voluto fare. La pediatra mi ha tranquillizzato, dicendo che è troppo piccolo perché il trauma si trascini a vita”.
E tu, come hai reagito?
“Ho pianto. Ero spaventata e lui pure. Ho fatto l’errore di non andare al Pronto Soccorso perché non sapevo che fosse la prassi: può rimanere un minuscolo corpo residuo capace di provocare polmoniti. Ho continuato ad avere incubi per due mesi, ma anche a chiedermi come sarebbe finita se non avessi partecipato come madrina a quel corso. A farmi passare le paturnie è stata la petizione”.
La petizione, appunto: come va?
“Siamo solo a 3mila firme – ne servono 10mila – ma ogni volta che rilascio interviste e ne parlo, vedo che le sottoscrizioni aumentano. E, poi, c’è Sanremo: ne ho parlato con tutti i genitori in gara, chiedendo loro di condividere sulle loro fan page di Facebook e Twitter (tra i primi a ritwittare e firmare, si segnalano Elisa e Kekko dei Modà, ndr).
Avevi già vissuto un grande spavento con Samuele, tanto che intervenne l’elicottero del 118.
“Stava giocando ed aveva sbattuto fortissimo l’orecchio contro la leva dello sgabello: svenuto, sembrava morto. Ho chiamato il 118 e sono venuti a prenderlo immediatamente, in elicottero”.
Sei diventata mamma a 41 anni: il luogo comune vuole che le primipare non giovanissime siano le più ansiose
“Non mi considero una mamma ansiosa, sebbene il mio compagno mi prenda continuamente in giro sostenendo il contrario. Sono una mamma attenta, ma non vado in sbattimento per tutto: lo può testimoniare anche la mia pediatra, perché non sono una di quelle che chiama ogni due per tre. Certo, mi mancano i consigli di mia madre, morta qualche anno fa: le nonne – soprattutto quella materna – sono fondamentali”.
Sei tornata al lavoro a due settimane dal parto. Come hai fatto?
“Grazie a un capo e a dei colleghi splendidi e comprensivi: massimo alle 14 ero a casa (il programma di Paoletta va in onda dalle 9 alle 12, ndr). Mi tiravo il latte tre volte durante la mattinata e tornavo a casa con il mio bottino di latte, che la tata dava a Samuele il giorno dopo. Avevo una piccola scorta in freezer per ogni evenienza”.
Hai allattato Samuele per 20 mesi.
“A un certo punto la pediatra mi ha obbligata a smettere: ma è stata dura. Soprattutto la notte: lui si svegliava di continuo per attaccarsi al seno, a mo’ di ciuccio. I primi giorni sono dovuta andare a dormire nella camera degli ospiti perché non mi cercasse, mentre lui stava con papà. E ha continuato a cercare il mio seno per mesi: calcola che la sua prima parola non è stata “mamma”, ma “tetta”.
Per una dj, parte fondamentale del proprio lavoro sono i concerti e la vita notturna. Come si fa con un bambino?
“Io mi ero stancata già da un pezzo della vita notturna, mentre dedicavo tutto il mio tempo libero a viaggiare: nel fine settimana non facevo che prendere aerei per andare a conoscere qualsiasi città dell’Europa. Ammetto che è questa la parte che mi è realmente costata e mi costa: rinunciare a scoprire il mondo. Ma ora Samuele ha due anni e mezzo e si potrà iniziare a viaggiare con lui”.
Hai un blog nel quale racconti la tua vita e condividi foto di Samuele. Mai avuto dubbi o gelosia in merito?
“No, perché la gelosia è un sentimento che non mi appartiene: al contrario, sono fiera di mostrarlo. E sono così fiduciosa nei confronti del prossimo, da non pormi altri pensieri negativi”.