Paura di parlare: il mutismo selettivo

Oggi con la dottoressa Francesca Santarelli affrontiamo un tema molto particolare e allo stesso tempo abbastanza comune tra i bambini: il mutismo selettivo.
Perché alcuni bambini, quando sono al di fuori delle mura familiari, faticano ad integrarsi con gli altri e preferiscono starsene in disparte e in silenzio?
Ecco cosa ci spiega la Psicologa Amica:

Dottoressa Francesca Santarelli

Prima delle vacanze di Natale, mi portarono in studio un bambino di 3 anni con il sospetto diagnostico di ritardo mentale o di autismo. Fortunatamente, gia a primo impatto, non trovai niente di queste patologie, ma sospettai da subito un caso di mutismo selettivo. Ecco perche oggi ve ne voglio parlare.

Il “mutismo selettivo” (MS) è una patologia che spesso viene erroneamente scambiata per timidezza o per sintomo di un possibile ritardo mentale, ma che in realtà è un preciso segnale di sofferenza del bambino legato a precisi contesti sociali e pubblici.

Il nostro bambino, una volta varcata la soglia di scuola, non parla più, non riesce a fare amicizia, concentrarsi, rispondere alle interrogazioni: forse ci viene da pensare che sia solo molto sensibile e abbia bisogno di un po’ più di tempo degli altri per ambientarsi, che passerà, o magari invece la cosa ci preoccupa, e osservando nostro figlio continuiamo a vederlo talmente bloccato e isolato da decidere di portarlo da un dottore, farci venire il sospetto che sia magari affetto da una qualche forma di autismo, o da dio sol lo sa che cosa.

Succede ogni volta che lo lasciamo in classe, o quando va a pallacanestro, o in gita coi compagni, e a un certo punto succede che le maestre, durante il ricevimento, ci vengono a chiedere se il bambino studia, perché a lezione non spiccica parola, non segue, è come assente e durante l’intervallo se ne sta sempre in disparte, con il resto dei bambini non gioca quasi mai.

Ma insomma, che gli succede? Cosa c’è che non va? Eppure a casa, quando siete insieme, non notate niente di strano, o perlomeno non vi sembra. Ebbene, una possibile risposta a questi dubbi potrebbe forse essere spiegata in 2 parole, sarebbe a dire “mutismo selettivo”.

Innanzitutto c’è da sottolineare che i piccoli affetti da questo tipo di disturbo non sono muti a causa di un deficit di apprendimento, di autismo, di gravi blocchi dell’età evolutiva o di anomalie comportamentali. Il problema deriva infatti da altro: in precisi contesti sociali in cui non si trovano a proprio agio, questi bambini si sentono come se le loro corde vocali fossero letteralmente congelate dalla paura, cosa che di conseguenza impedisce loro di relazionarsi normalmente con le parole e spiega appunto la loro afonia e l’atteggiamento improvvisamente non-verbale.

I piccoli interessati da questo problema hanno un linguaggio corporeo che, nel momento in cui l’attenzione viene rivolta verso di loro, diventa “impacciato”: spesso tendono ad abbassare o girare la testa altrove, si toccano i capelli, guardano a terra, si nascondono in un angolo, si succhiano il dito oppure vanno a cercare qualcosa con cui giocherellare; molti assumono uno sguardo “assente” o una faccia “inespressiva”, e si comportano come se ignorassero l’altro. Ma l’apparenza vuole solo ingannare: in realtà, contrariamente a quanto vuole mostrare, il bimbo ha talmente tanta ansia o paura da non riuscire a mettersi in relazione con gli altri parlando o rispondendo.

Nella pratica, si potrebbe sospettare di trovarsi effettivamente davanti ad un caso di mutismo selettivo se:

1. Il bambino non riesce a parlare in determinate situazioni pubbliche dove di norma sarebbe chiamato a interagire (per esempio a scuola), scoglio che tuttavia va regolarmente a sparire in altri tipi di contesto e situazione (per esempio a casa).

2. Il disturbo interferisce in modo consistente con la qualità dei risultati raggiunti in classe e/o in altre occupazioni svolte, creando percepibili blocchi nell’ambito della quotidiana comunicazione sociale.

3. Il problema si manifesta da almeno un mese (la questione non riguarda naturalmente situazioni particolari e comprensibili come le prime settimane di lezione o l’inizio di una nuova attività di gruppo).

4. Non c’è dubbio sul fatto che il bambino non parli perché semplicemente sa maneggiare ancora pochi vocaboli o perché manca magari di argomenti da esporre.

5. È appurato che il bambino non è affetto da preesistenti difficoltà legate alla sfera comunicativa (per esempio la balbuzie) né da disturbi psichiatrici, come la schizofrenia o il ritardo mentale.

 

L’ignoranza e la scarsa attenzione a cui il problema è per il momento relegato, tuttavia, non deve ingannare: sottovalutare il mutismo selettivo  liquidando il blocco del bambino come banale timidezza o, al contrario, entrare in uno stato d’ansia rischiando un percorso terapeutico sbagliato che, indagando su un’ipotetico stato di ritardo mentale o di autismo, vada a parare in una terapia errata, sono atteggiamenti assolutamente da evitare.

Il mutismo selettivo infantile non è raro, non è necessariamente dovuto a traumi o violenze subite, non è assolutamente indice di un’intelligenza al di sotto della media e, soprattutto, va curato perché la credenza che non si risolve da sé con la crescita è un falso (e pericoloso) luogo comune da sfatare. Ogni problema corrisponde ad una giusta soluzione ma, perché questa possa essere realmente adeguata così da evitare infinite conseguenze, la prima regola è non buttarsi su deduzioni affrettate: solo in questo modo, oltre che informandosi, diventa possibile puntare ad una pronta guarigione.