Alle sette la sveglia. Alle otto a scuola fino alle quattro del pomeriggio. Poi, giusto il tempo di una merenda veloce, e di corsa in piscina se è lunedì, a danza se è martedì, a lezione di pianoforte se è mercoledì, ancora in piscina se è giovedì e ad un bel corso di inglese per chiudere la settimana il venerdì. Sto esagerando?
Mica tanto. Il destino di molti piccoli italiani sembra segnato fin dalla più tenera età: campioni per forza. Già dai tempi della culla sono sottoposti a stimoli mirati per una crescita e uno sviluppo psicofisico ottimale.
Sono la gioia di mamma e papà. Quante soddisfazioni…
Ma a sei anni si ritrovano, loro malgrado, con più impegni di un manager.
E spesso non sono i bambini a chiedere tutto ciò, ma sono i genitori che riversano su di loro ansie, speranze e aspettative. Insomma, sembra incredibile a dirlo, ma a volte sono proprio mamma e papà la fonte di stress per i piccoli.
Perché scrivo tutto questo? Ve lo dico subito.
La settimana scorsa ero alla scuola materna e mio malgrado, mentre mettevo le scarpe a Marco, ho ascoltato un discorso tra mamme. Sembrava una corsa a chi sapeva fare di più:
“Mio figlio a 1 anno pesava 15 kg”.”Il mio a 3 mesi aveva già due denti”. “Il mio a un anno contava fino a 10”. “Il mio a due anni contava fino a 20 in italiano, inglese e francese”. “Il mio a quattro anni suona già il pianoforte”. “Il mio fa basket”. “Il mio fa basket e piscina”. “Il mio fa basket, piscina e inglese”.
A quel punto volevo dire: “Il mio è andato a basket tre volte e poi mi ha detto che non gli piaceva. Suona la batteria a casa… ma di pentole. A tre anni e mezzo non arriva a 15 kg. Però sì, sa contare pure lui fino a 10!”. Mio figlio… è un bambino.
Ma non sono intervenuta nel discorso. Ho salutato e sono andata via.
In macchina, neanche a farlo apposta, stavamo ascoltando le canzoni dello Zecchino d’Oro. E mi sono ritrovata a canticchiare “Le tagliatelle di nonna Pina”. Ve la ricordate?
Ad un certo punto fa: “Invece oltre la scuola cento cose devo far: inglese, pallavolo e perfino latin-dance. E a fine settimana non ne posso proprio più mi serve una ricarica per tirarmi su”. Poi nella strofa successiva: ” Ma intanto mi hanno iscritto anche a un corso di kung-fu, sfruttando l’ora buca fra chitarra e ciclo-cross”.
Cavolo, ho pensato, noi genitori siamo proprio così…
La sera, a casa, ne stavo parlando con mio marito, e lui, che è più realista del re e molto più saggio di me, mi ha smontata in tre secondi: “Cara, non credere di essere migliore delle altre mamme. Anche tu quando parli dei tuoi figli ti vanti e ti gonfi come se fossi un pavone. Non te ne rendi conto, ma è così. E pure tu dici di volerli portare a basket, in piscina, qua e là”.
E io: “Ma lo faccio per il suo bene!”.
E lui: “Anche gli altri genitori lo fanno per lo stesso scopo. E’ giusto dare input e stimoli diversi ai bambini. Ma, come in ogni cosa, ci vuole la giusta misura. Ciò che è sbagliato è aspettarsi da loro che siano sempre i numeri uno in tutte le competizioni. Invece devono essere i numeri uno per te mamma, e dare il meglio di sé con gli altri”.
Ma quanto è saggio quest’uomo?
Sullo stesso tema ho letto poi un intervento di Ernesto Caffo, ordinario di Neuropsichiatria infantile presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, nonché fondatore di Telefono Azzurro.
“Oggi intorno ai bambini c’è una grande spinta a prestazioni ottimali e ad assorbire competenze”, ha detto Caffo. “Se il bambino non risponde alle richieste degli adulti viene vissuto come non efficiente e disattento. Tanto che i genitori, che leggono le sue difficoltà come segnali di un disagio, arrivano a volte a richiedere aiuti psicologici che non servono. Il fatto è che fare i genitori non è poi un ‘mestiere’ così ovvio: in tanti sono impauriti e impreparati. Molte volte il problema è una non corretta condivisione del percorso di crescita, con adulti incerti che passano da un eccesso all’altro: quando i bimbi sono piccoli li seguono ossessivamente. Per poi diventare disattenti e marginali, e finire per delegare sempre più alla scuola e allo sport”.
In conclusione cosa penso?
Peccato che non ci sia un corso per diventare bravi genitori con tanto di attestato!
Fare la mamma (così come il papà) è davvero complicato. In ogni circostanza e in ogni occasione ci si mette in dubbio: avrò fatto bene? Avrò esagerato? Avrà traumi?
Quanti sensi di colpa! Ma la verità è che si sbaglia sempre.
Io da ragazzina criticavo mia madre.
Mi aspetto che i miei figli facciano altrettanto con me.
Spero di non riversare sui miei due nani le mie ansie, i miei desideri e le mie aspettative. Ma di seguire la loro indole, spronandoli…