C’è ancora domani… per fortuna!

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In queste ultime settimane la parola “patriarcato” credo sia una di quelle più usate, forse abusate, ma sicuramente più discusse.

Io sono cresciuta respirando la cultura del patriarcato. Sono femmina (non donna…) e quindi tante cose le ho dovute imparare perché il mio status di “signorina” me lo imponeva.
Le femmine devono saper rammendare, devono saper cucinare, fare la spesa, tenere in ordine una casa e fare i mestieri di casa. Le femmine devono essere composte. Non devono tentare il maschio. Le femmine devono dire di sì, ma poi con le buone portare il maschio a fare quello che vogliono loro.

E così che sono diventata grande, con questi insegnamenti, con questi esempi. Ma i miei genitori non credo che abbiano colpe. Loro hanno fatto del loro meglio. Anzi, rispetto ai miei nonni si sono “evoluti”. Ma era quella la mentalità di quell’epoca. E loro sin da piccoli sono stati educati all’obbedienza, al silenzio e al rispetto… del padre e degli adulti.

Mio nonno era “signurìa” anche per i figli e quando si pranzava tutti insieme nei giorni di festa, sedeva a capotavola e nessuno poteva iniziare a mangiare prima di lui.  Ricordo che noi piccoli lo guardavamo trepidanti e aspettavamo con la forchetta in mano. Ma il nonno prima di cominciare aspettava che tutti i commensali fossero seduti ai propri posti, anche le mamme (donne) che servivano i pasti. E nessuno si poteva alzare o allontanare dalla tavola senza il suo permesso.

Se il nonno decideva una cosa, era quella. Punto. Non si poteva discutere. Lui portava i pantaloni a casa.
Allora era così. E non so se si chiedessero se fosse giusto o sbagliato. Era così.

I miei genitori hanno cercato di replicare su noi figli quella che era stata la loro educazione. Ma nello stesso tempo hanno allentato la morsa. Ci hanno concesso cose che per loro non erano neppure pensabili.
Io ho avuto la possibilità di studiare. Sono andata all’università, ho convissuto con il mio fidanzato prima che diventasse mio marito (ma a mille chilometri di distanza dai miei e non è un dettaglio).
Ma la cultura del patriarcato l’ho respirata. Negli anni però l’ho rinnegata. Ma mi rendo conto che ne porto ancora i segni e gli strascichi. E ogni tanto la confondo con la “tradizione“.

Quando sono andata al cinema a vedere “C’è ancora domani”, il meraviglioso film della Cortellesi, mi sono resa conto che io quelle scene (eccetto che le scene di violenza, quelle no, quelle mai) le ho vissute in qualche modo. E se non in prima persona, di sicuro attraverso mia madre, attraverso i suoi racconti.

Tante volte mamma mi ha detto: “Io sono stata fortunata ad avere tuo padre, lui non mi ha mai alzato le mani, mi ha sempre amata e rispettata. Mi ha sempre lasciata libera di fare quello che ho voluto. Anche di lavorare. Sono pochi gli uomini così”.
Mia madre di donne picchiate e maltrattate dai mariti probabilmente ne ha viste e sentite tante. Così come di donne costrette a chiede il permesso per fare qualsiasi cosa, di donne costrette a lasciare il lavoro perché il marito le voleva a casa, di donne che hanno dovuto rinunciare agli studi perché alle femmine non serve la cultura.
E forse all’epoca di mia nonna era la “normalità”.

E quando le chiedevo: “Ma perché dopo il primo schiaffo non se ne sono andate via?” Mi ha sempre risposto: “E dove dovevano andare? Sarebbe stato un disonore per la famiglia, per i figli!”. Un disonore. Eppure la legge sul divorzio c’era già da diversi anni…

Lei mi ha sempre detto, sin da quando ero piccola, talmente piccola da non riuscire a comprendere neppure il verso senso di quelle frasi: “Non rimanere mai da sola con un maschio grande in casa. Può succedere di tutto e tu sei femmina”. “Se qualcuno ti offre un passaggio in macchina, rispondi sempre che sta arrivando papà. Non salire mai”. “Non entrare mai in casa di qualcuno se c’è un maschio da solo”. Ha sempre cercato, a modo suo, di proteggermi dal lupo.

Mi sono sempre sembrati consigli esagerati, appartenenti ad un mondo antico, superato. Non li ho mai fatti miei. “Mamma aggiornati, il mondo è cambiato!” le ho sempre risposto.

E così io quei consigli non li ho mai dati ai miei figli, mai tramandati… ma io ho due figli maschi.

MASCHI!

Ed oggi mi sento una grande responsabilità addosso. La responsabilità di una madre che spera di aver insegnato loro non il rispetto verso il padre, ma verso il PROSSIMO di qualunque genere e colore.

Ma ancora di strada da fare ce n’è tanta. Me ne rendo conto. E i fatti di cronaca di questi giorni ne sono la prova.

Ma come dice la Cortellesi… “C’è ancora domani” e per fortuna, aggiungo io. C’è ancora speranza di pensare ad un domani migliore.

 

Maria Nigo