Ci risiamo.
Si cambia squadra, si cambia società, ma alla fine si rivivono sempre le stesse scene.
Sto parlando ancora di calcio, quello che dovrebbe essere a nove anni, secondo me, ancora un gioco. Divertimento. Attività sportiva. E invece…
E invece a volte più che una scuola di calcio diventa una scuola di vita che non risparmia delusioni e pianti.
Lo scorso anno Luca decise di lasciare la squadra dell’oratorio e di iscriversi ad una scuola calcio vera e propria. Allenamenti più impegnativi, partite e tornei in tutti i weekend.
I ritmi erano cambiati. Per lui forse troppo. E cominciò a scaricare l’ansia con una serie di tic che mi mandarono in paranoia.
Digrignava i denti di notte, faceva scattare la mandibola e io soffrivo nel vederlo così.
Lui ci teneva tanto a far parte della “Prima squadra”. Poi a gennaio il colpo ferale: il declassamento. Fu spostato dalla prima alla terza squadra senza preavvisi e senza avvisi. Senza una spiegazione, né una parola da parte del mister.
Il bambino ebbe un crollo psicologico: “Non valgo nulla” continuava a ripetersi. E questo suo stato d’animo ebbe delle ripercussioni (per fortuna solo temporanee) anche sul rendimento scolastico.
Io ero più disperata di lui. Sia chiaro: non per il cambio di squadra, ma perché lo vedevo così. A me non importa nulla del calcio. Se decidesse di cambiare sport domani mattina ne sarei ben felice (magari uno al coperto e con le tribune riscaldate d’inverno 😊 )
Con il suggerimento della psicologa, mi inventai la storia della “squadra arcobaleno”. Gli piacque.
I tic lentamente sono passati. Ha ritrovato la fiducia in se stesso. Nella nuova squadra si è trovato bene e noi con i genitori abbiamo legato tantissimo. Si era creato un clima sereno, gioioso. Ci siamo proprio divertiti, era diventata quasi una seconda famiglia.
Ma a luglio la sorpresa. Nonostante fosse stato confermato in quella società (e sì… perché non è il bambino che decide se rimanere o no, ma è la società che informa se vuole ancora quel giocatore o no…) Luca ha deciso di cambiare. E’ andato in un’altra società sportiva.
E qui, qualche giorno fa, ho rivisto la stessa scena: un bambino è stato spostato dalla prima alla seconda squadra senza un preavviso, una parola di conforto, nulla…
E’ vero che le squadre non sono state definite e che gli spostamenti sono all’ordine del giorno, ma vedere un bambino uscire dal campo in lacrime mi ha fatto rivivere tutte quelle brutte emozioni che avevo vissuto lo scorso gennaio.
Cuore di mamma, non reggo al pianto di un bambino. Ero triste per lui. E anche i genitori del bambino erano molto amareggiati. Capivo perfettamente come si sentivano.
Invece mi ha molto sorpreso la reazione di Luca. “Mamma, vedrai che si troverà bene anche nell’altra squadra. Gli dobbiamo dire che facciamo tutti parte della “squadra arcobaleno”. Noi ci continueremo a vedere negli spogliatoi e lui farà amicizia anche con gli altri bambini. Gli dobbiamo dire che adesso gli sembrerà la fine del mondo. Ma non è così. Non è la fine del mondo, ma un nuovo inizio. E come dici tu l’importante è tornare a casa stanchi, ma con il sorriso”.
“Luca e se spostassero anche te?”, gli ho detto provocatoriamente.
“Io do il mio massimo in qualsiasi squadra. E poi ricordati che l’anno scorso ci siamo divertiti più in terza, che in prima”, mi ha risposto.
Basta. Mi ha azzittita…
“Non è la fine del mondo, ma un nuovo inizio”… detto da un ragazzino di nove anni. Che lezione!
Scuola di calcio… o scuola di vita?