Si chiamano “disturbi del comportamento alimentare” e se fino a qualche anno fa questi tipi di disurbi si manifestavano negli adulti o nei ragazzi in età adolescenziale, adesso si manifesta anche nei bambini. Ed è un trend in continua crescita.
Ma perché?
L’infanzia non dovrebbe essere solo l’età della spensieratezza, dei sorrisi, del gioco e del divertimento?
Perché invece i nostri figli manifestano questi disturbi?
E’ il loro modo per alzare bandiera bianca e chiedere aiuto.
Ma noi come possiamo aiutarli? Di questo ci parla oggi la nostra psicologa amica, la dottoressa Francesca Santarelli.
Questo weekend sono stata a un convegno sui disturbi del comportamento alimentare e il rapporto con il cibo in età pediatrica e sono rimasta sconcertata quando hanno mostrato gli ultimi dati statistici che rivelano quanto si sia abbassata la soglia di insorgenza di problematiche inerenti all’alimentazione nei bambini di oggi.
Qui non stiamo parlando di bimbi che mangiano poco, che ci mettono due ore per finire un piatto di pasta, che fanno capricci per stare a tavola o che sono un po’ “schizzinosi” su certi cibi: qui si tratta di bambini che palesano dei veri e propri comportamenti problematici inerenti al rapporto con il cibo e alla propria immagine corporea che, come per gli adulti, potremmo definire “disturbi del comportamento alimentare”. Questa definizione non significa che ci sia una patologia in atto, come spesso si pensa quando si parla di “disturbo” in psicologia, ma parliamo di tutta una serie di atteggiamento che “disturbano” il modo di vivere con cibo e forme corporee, ma in primis con se stessi.
Se fino a qualche anno fa il target di inizio di queste problematiche iniziava nella fase della pubertà, oggi (e questo mi ha agghiacciato) si parla di una fascia di età che inizia ad avere questi problemi già intorni ai 6/7 anni, in modo indiscriminato per maschi e femmine.
In genere, i comportamenti anomali dei bambini nei confronti dell’alimentazione sono transitori, legati a momento particolari della crescita. In questo caso si parla di “disagi alimentari”, come per esempio: paura di masticare, rifiuto del cibo di un certo colore, mancato utilizzo delle posate come forma di opposizione, i rigurgiti frequenti.
In questo caso rappresentano la modalità con cui il bambino manifesta un malessere passeggero o una difficoltà evolutiva: il rapporto alterato con il cibo dunque, è una richiesta di aiuto legato ad un particolare momento della loro vita.
Questi disagi non sono accompagnati da altre manifestazioni di malessere e il bimbo continua la sua vita di sempre: gioca, dorme, si scarica normalmente…. E anche il suo rapporto all’interno del contesto familiare non rappresenta problematiche.
Nonostante siano condizioni momentanee, questi appelli dei bimbi vanno comunque ascoltati e approfonditi, perché se restano invisibili, possono determinare in futuro problemi più seri.
Nei cosiddetti disturbi del comportamento alimentare invece, il rifiuto o la voracità alimentare durano per molto tempo, sono portati avanti con fermezza e ostinazione e hanno evidenti ripercussioni sul suo sviluppo psicofisico.
All’origine c’ è un malessere psicologico importante che può coinvolgere anche altri settori della vita (la scuola, il gioco, gli amici) e le funzioni fisiologiche, come il sonno e l’evacuazione.
Le difficoltà, come per gli adulti, possono orientarsi su due versanti: quello anoressico e quello bulimico.
Nel primo caso, c’è un atteggiamento determinato di rifiuto e opposizione nei confronti degli alimenti e/o dell’atto nutritivo (sedersi a tavola, prendere in mano le posate, toccare il cibo). I bambini anoressici non appaiono magri o deperititi, ma sembrano fisicamente più piccoli della loro età anagrafica. Se non individuata subito, l’anoressia infantile può prolungarsi o riapparire nell’adolescenza, alterando lo sviluppo puberale.
Nel secondo caso invece, c’è un atteggiamento per cui sembra che il bambino perda completamente il controllo di fronte il cibo e fa continue richieste di alimentarsi, senza distinguere più il senso di fame e di sazietà.
Questo naturalmente lo porta a un’insoddisfazione sempre perenne verso il suo stato fisico, che solitamente, a differenza dell’aspetto anoressico, si manifesta più palesamene.
Le possibili cause psicologiche sono da inquadrare all’interno di ogni situazioni di vita e contesto familiare del bambino, partendo dal presupposto che questi disturbi hanno sempre alla base una richiesta di aiuto che è molto più profonda di un disagio.
Non bisogna poi trascurare l’aspetto sociale e educativo in cui è cresciuto il bambino in termini di valori estetici e di atteggiamento problematici simili in primis negli stessi genitori, che magari attuano “un’attenzione ossessiva” al peso, alle forme corporee e all’immagine fisica e sociale.
Il problema alimentare dunque, è semplicemente uno spostamento di un disagio interiore, su un piano fisico, che in qualche modo o lo si può controllare (con l’anoressia) o su cui abusare invece una forma di controllo (nel caso della bulimia).
Occorre sempre valutare nel tempo e con uno specialista se si tratta di un disagio o un problema vero e proprio e senza sottovalutare determinati atteggiamenti, chiedere una valutazione il prima possibile, affinché il disagio non si radichi più profondamente nell’identità in crescita di nostro figlio.
Per appuntamenti con la dottoressa Francesca Santarelli, o info, potete visitare il sito Internet del suo studio: www.studiosantarellidecarolis.com