Oggi parliamo con la dottoressa Francesca Santarelli parliamo di un argomento, secondo me, molto bello: il linguaggio dei bambini.
Perchè alcuni iniziano a parlare molto presto ed altri, invece, faticano a pronunciare anche il loro stesso nome?
Quando ci dobbiamo preoccupare?
Ecco cosa ci risponde la nostra Psicologa Amica:
“Ci capita spesso di incontrarci con altre mamme che hanno bimbi della stessa età del nostro e di fare quegli anticipatici confronti tra “Mio figlio fa già questo e lui ancora no…” oppure: “Perché suo figlio già parla così tanto e il mio dice a malapena due parole?” ecc…ecc..
Se ci confrontiamo con lo sviluppo del linguaggio, molto mamme si gettano nello sconforto e nella preoccupazione se il proprio bimbo ancora a due anni e mezzo/tre non parla in modo chiaro e con la formulazione delle primissime frasi.
E spesso, lo spettro dell’autismo e problematiche simili, fanno da terremoto emotivo per i genitori più ansiosi.
Cominciamo subito a dire che nei bambini, lo sviluppo del linguaggio segue un percorso articolato e del tutto individuale, caratterizzato da fasi che non devono essere interpretate in modo rigido e che non sono necessariamente uguali per tutti.
Il linguaggio dei nostri bimbi si articola passando dalla ripetizione di semplici monosillabi a frasi complesse di senso compiuto. Possiamo suddividere l’acquisizione del linguaggio in tre grandi tappe principali: la fase prelinguistica che va dai 6 ai 12 mesi (le classiche lallazioni “babababa”, “lalalalala”), la fase linguistica, che inizia intorno ai 12 mesi circa e infine, la fase lessicale tra i 17 e i 24 mesi.
In quest’ultima tappa, il vocabolario dei bambini comincia ad ampliarsi e può raggiungere anche le 300 parole.
Ogni bimbo però ha le sue tappe personali riguardo all’acquisizione e lo sviluppo di determinate abilità e per tale motivo, prima di preoccuparsi, è opportuno valutare con attenzione una serie di fattori.
Nel caso del linguaggio ad esempio, è molto importante dare uno sguardo alle sue capacità comunicative, che si manifestano non solo attraverso il linguaggio verbale, ma anche tramite le sue potenzialità ricettive e l’interesse che nutre verso l’ambiente che lo circonda. Sorrisi, smorfie e gesti sono modalità comunicative spesso più eloquenti della parola!
In ogni caso, soprattutto perché stiamo considerando l’età evolutiva, bisogna sempre ricordarsi delle differenze individuali. Esistono cioè bambini più precoci, come bambini che pur iniziando a parlare più tardi ugualmente a tre anni hanno uno sviluppo linguistico nella media. Molto infatti dipende anche dall’ambiente e dalle stimolazioni che si ricevono all’interno dello specifico contesto evolutivo.
Ma allora perché certi bambini fanno fatica a parlare o lo fanno davvero poco?
Innanzitutto è importante escludere che ci siano fattori cognitivi, percettivi, neurologici, alla base del ritardo linguistico e questo lo si può fare confrontandoci dapprima con il proprio pediatra e successivamente valutare se sia il caso di fare una visita da un logopedista, da un neuropsichiatra infantile e/o da uno psicologo dell’infanzia.
Una volta escluse componenti organiche o genetiche, possiamo prendere in considerazione altri fattori che potrebbero spiegare questo ritardo del linguaggio.
In primis, prendo sempre inconsiderazione la pigrizia dei bambini : sembra banale dirlo, ma posso garantirvi che, se i bambini capiscono che le loro richieste vengono esaudite anche senza bisogno di aprire bocca, il parlare smetterà di essere per loro una necessità primaria. Per cui è importante evitare di anticipare sempre e comunque i loro desideri, soddisfacendoli ancora prima che vengano espressi.
Poi bisogna considerare l’ambiente familiare in cui crescono. Ci sono infatti delle famiglie, che io definisco “silenziose”: se gli adulti di riferimento si esprimiamo a monosillabi, limitandosi a rispondere alle domande dei bambini con un sì o un no, non c’è da stupirsi se il loro vocabolario sarà decisamente scarno. Al contrario, bambini che vivono in famiglie con genitori, fratelli o sorelle che parlano molto risultano più precoci e abili nell’eloquio.
Molte volte le difficoltà dei bambini non sono legate tanto a un effettivo deficit quanto alla relazione che costruiamo con loro: prestiamo poca attenzione alle loro capacità comunicative, ci focalizziamo solo sulla loro performance linguista, continuando a correggere gli errori che compiono durante le loro sperimentazioni, insistendo su un loro miglioramento. Con questo atteggiamento non solo riduciamo la libertà di provare insita nei bambini, ma rischiamo di bloccare la loro spontaneità.
Poi c’è una componente caratteriale, per cui ci sono bimbi che hanno caratteri timidi e più chiusi : a volte i bambini in questione sono semplicemente timidi e, tacendo, esprimono un loro modo di essere, di differenziarsi dagli altri. In questo caso il nostro compito è quello di non forzarli, lasciando loro la libertà di esprimersi quanto e come meglio credono.
Nei casi psicologici più gravi infine, ci possono essere situazioni di stress o traumi emotivi particolarmente forti che influiscono con la libera espressione del cucciolo.
In tutti i casi sopradescritti, nella maggior parte dei casi basterà aspettare, evitare pressioni o inutili insistenze: all’improvviso i bambini ci sorprenderanno e ci renderemo conto, inaspettatamente, che possiedono un vocabolario ricco e ampio”.
Che dire?
Io ho avuto due figli, due esperienze completamente diverse.
Marco a tre anni ancora non sapeva pronunciare bene il suo nome e tutte le parole che contenevano la consonante “c”.
A chi gli chiedeva: “Come ti chiami?”
Lui da piccolo rispondeva: “Matto”… poi verso i tre anni era diventato “Marto”. Solo verso la fine dei quattro anni è diventato finalmente “Marco. Suo fratello l’ha chiamato “Luta” per tanto tempo. Poi alla fine è diventato “Luca”.
Non vi nego che mi sono preoccupata. Tutti gli altri bambini della sua classe pronunciavano bene tutte le parole… e lui invece faticava con questa “C”.
Primo figlio, poche esperienze, tanti consigli e pareri delle altre persone… Ma di chi fidarsi?
Della logopedista della scuola materna. E così ho chiesto a lei un parere.
Ho aspettato quasi la fine dei quattro anni prima di sentire dalla bocca di mio figlio pronunciare un “Marco” chiaro e ben scandito. Ora parla benisissimo!
Luca? Ha iniziato a parlare bene così presto che non ricordo neppure quando non chiacchierava. Ed ha un timbro di voce talmente forte… che a volte vorrei che la tenesse anche un po’ chiusa quella bocca!
Per appuntamenti con la dottoressa Francesca Santarelli, o info, potete visitare il sito Internet del suo studio: www.studiosantarellidecarolis.com