Oggi lascio la parola alla psicologa amica, la dottoressa Francesca Santarelli, che risponderà ad una domanda che tantissimi di voi le hanno posto: come si fa a capire se e quando un bambino ha bisogno di aiuto?
Ecco cosa risponde:
“Scusate se questa volta divago un po’ su un argomento specifico, ma prendo spunto dalle tante mail che ricevo da molte di voi ogni settimana che mi espongono problematiche inerenti i loro figli di varia natura, ma che si accomunano alla fine, tutte con una stessa domanda più o meno esplicita: cosa devo fare?
Mio figlio ha bisogno dello psicologo? Quando è utile inviare il proprio figlio dallo psicologo?
E poi come funziona una terapia infantile?
Ecco…..forse vale la pena chiarirci un po’ le idee insieme…
Ci sono dei sintomi o segnali che da parte dei genitori non vanno sottovalutati e che rendono necessario un colloquio con lo psicologo. A volte anche la pipì a letto (enuresi notturna), il mal di testa, il mal di pancia, l’onicofagia (mangiarsi le unghie) possono richiedere l’aiuto dello psicologo. Lo psicologo può aiutare a migliorare i rapporti tra i genitori e il figlio e superare le difficoltà.
Riconoscere che il proprio figlio ha un problema non è certamente facile. Ancora meno facile è ammettere che non si è in grado di aiutare i propri figli da soli e quindi accettare di conseguenza che un perfetto estraneo “metta il naso” in faccende private, di famiglia.
Ma un esperto, psicologo o psichiatra che sia, non è un cacciatore di colpevoli, ma una persona in grado di poter mettere ordine e dare chiarezza in un momento particolare in cui la famiglia, immersa nel caos, non intravede altre vie d’uscita.
Ma andiamo per gradi. I primi dieci anni di vita dei nostri figli sono spesso segnati da numerose inquietudini e angosce, e non è sempre facile distinguere che cosa è davvero preoccupante e necessita di uno sguardo esperto, da ciò che rientra in una normale fase di sviluppo di un figlio.
Ci sono dei segnali che sicuramente non vanno sottovalutati, dei comportamenti che se notati nei nostri bambini, rendono necessario un consulto psicologico.
Per esempio:
•Cambiamenti di comportamento: il bambino diventa improvvisamente aggressivo, oppure apatico, taciturno, mostra dei comportamenti compulsivi (lavaggi continui, controlli ripetuti, etc.), dei tic;
•Deficit di attenzione: il bambino mostra una flessione e apparentemente inspiegabile del rendimento scolastico; le maestre si lamentano che a scuola non sta attento per più di 5 minuti, che disturba;
•Disturbi d’ansia: angoscia, paure mai avute prima, disturbi del sonno;
•Disturbi alimentari: anoressia, ripetute crisi di vomito non dovute a patologie;
•Altri problemi psicosomatici: pipì a letto (enuresi), mal di testa, mal di pancia, onicofagia (mangiarsi le unghie).
Se si notano questi comportamenti per così dire preoccupanti, cosa fare?
Intanto non colpevolizzarsi, ma parlarne prima di tutto con il pediatra o il medico di famiglia, in particolare per i bimbi sotto i 3 anni. Saranno sicuramente loro a consigliare, se serve, lo specialista giusto: psicologo, psicoterapeuta, neuropsichiatria infantile, psicomotricista, logopedista, ortofonista, ecc…
Per la scelta dell’esperto è meglio non affidarsi al passaparola o alle mode del momento. Occorre valutare le specialità di ognuno, i metodi utilizzati, magari incontrandone più di uno, in modo che nostro figlio si senta per primo a suo agio. E’ fondamentale che il bambino sia messo al corrente dai genitori su quello che sta accadendo, e messo di fronte al suo problema senza allarmismi. E’ utile convincerlo a incontrare il medico specialista che aiuta i bambini a superare e risolvere problemi e preoccupazioni, magari rassicurandolo dicendo che l’avete già incontrato voi e che vi ha ispirato piena fiducia.
Solitamente una terapia si svolge in questo modo. Lo psicologo psicoterapeuta, prima di avviare qualsiasi tipo di lavoro terapeutico, incontra i genitori per riconoscere i problemi e ricostruire la storia familiare. Ognuno può esprimere il suo punto di vista e già il fatto di parlarne tutti insieme davanti ad una terza persona, permette non solo alla famiglia di ritrovarsi, ma di comprendersi e superare i fraintesi.
Nella maggior parte dei casi, il fatto di parlare con i genitori è sufficiente. Nelle altre situazioni il terapeuta propone un lavoro da fare solo con il bambino. La presenza della madre o del padre durante le sedute in genere dipende dall’età del bambino, ma anche dai suoi desideri: intorno ai 4 anni anni è più facile che il bambino si esprima avendo la madre accanto; dopo i 7 anni, in genere, è vero il contrario.
Per esprimere i loro disagi, ai piccoli da 3 a 5 anni, solitamente verrà proposto di disegnare, modellare oggetti con pasta morbida, o fare costruzioni. Dai 5 ai 7 anni sono invece più utilizzati i giochi di ruolo. Dopo i 10 anni tornano protagonisti i disegni e le parole.
Può accadere che il terapeuta richieda al bambino un pagamento simbolico, per esempio un disegno, in modo che il bambino capisca che la terapia è un lavoro e si fonda su uno scambio.
Parallelamente agli incontri con i bambini, il terapeuta può incontrare regolarmente i genitori da soli, o rivedere la famiglia insieme per fare il punto della situazione. Naturalmente la durata della terapia varia a secondo del bambino, delle sue difficoltà e della disponibilità a collaborare di tutta la famiglia.
Per appuntamenti con la dottoressa Francesca Santarelli, o info, potete visitare il sito Internet del suo studio: www.studiosantarellidecarolis.com