Ci sono dei comportamenti dei nostri figli che noi genitori fatichiamo a capire.
Ci sono dei bambini, anche molti piccoli, che se contrariati cominciano a piangere, a trattenere il respiro fino diventare cianotici e nel peggiore dei casi anche svenire.
Come affrontare la cosa?
Di certo l’atteggiamento più giusto non è assecondare il piccolo in ogni richiesta/capriccio.
E allora ho rivolto la domanda alla nostra Psicologa Amica, la dottoressa Francesca Santarelli.
Che meglio di lei ci può aiutare? Ecco cosa ci consiglia:
Cosa sono gli spasmi affettivi?
“Non lasciamoci spaventare dalla parola, anche se so che fa sembrare la cosa molto più preoccupante di quello che è.
Ma settimana scorsa mi hanno portato in studio una bambina di 2 anni e mezzo, sotto indicazione dell’educatrice del nido, perché la piccola manifesta da qualche mese degli spasmi affettivi, cioè trattiene molto il respiro durante il pianto.
Quante di voi ne hanno mai sentito parlare di esperienze simili?
Spieghiamo meglio di cosa di tratta, prendendo spunto dalla situazione che vi ho raccontato.
Innanzitutto tranquille: lo spasmo respiratorio affettivo, noto anche come laringospasmo, non è la manifestazione di una patologia, ma un comportamento che può presentarsi nei primi tre anni di vita ed è capace di ingenerare preoccupazione nei genitori, perché i piccoli accompagnano al pianto manifestazioni simili alle convulsioni.
Le crisi possono insorgere quando il bambino viene particolarmente contrariato oppure è disturbato da un malessere fisico. In questi casi, il piccolo trattiene il respiro, provocando uno stato di apnea volontaria che impedisce al sangue di ricevere ossigeno, con la conseguenza che il suo viso può diventare cianotico. Questo stato dura in genere alcuni secondi, ma se si protrae per troppo tempo il bambino può addirittura perdere i sensi, oppure irrigidirsi come in preda ad una crisi convulsiva.
Gli spasmi affettivi rappresentano una brutta esperienza per la mamma che vi assiste, ma in realtà non è il caso di preoccuparsi troppo, perché essi non sono in grado di mettere in pericolo la vita del bambino: le crisi – che si manifestano nel 5% circa dei bambini di età compresa tra i 6 e i 18 mesi e più sporadicamente nei mesi successivi – si risolvono sempre spontaneamente e senza conseguenze, e non devono essere considerate una manifestazione dell’epilessia, con cui gli spasmi affettivi non hanno nulla a che fare.
Possiamo distinguere le crisi degli spasmi in due categorie:
Cianosi: si presenta di solito quando il piccolo si trova ad affrontare una situazione di collera, di contrarietà, accentuata dal nervosismo che lo porta al pianto, al singhiozzo molto forte e frequente fino a condurlo a problemi di respirazione e quindi all’apnea. Il bambino sviene, ma la respirazione riprenderà in automatico e tutto sarà passato. Questa forma è diffusa soprattutto tra i bambini considerati dominativi e molto attivi;
Forma pallida: si presenta quando il bambino affronta un evento sgradevole e che non accetta, come una caduta, un dolore improvviso o un colpo inatteso. Il piccolo esprime spavento, urla impallidendo e poi sviene. La personalità di bambini che soffrono di questa forma si spasmo affettivo è timida, chiusa e molte volte passiva.
Il fatto che le crisi non si presentano improvvisamente, ma in concomitanza di un capriccio o di un episodio sgradevole per il bambino, conferma che non si tratta di una malattia, ma di una manifestazione che attiene alla sfera psicologica del piccolo e che gli serve ad esprimere un disagio e a cercare conforto nell’attenzione dei genitori. Quando il bambino è molto piccolo, questo meccanismo può innescarsi in maniera inconsapevole, ma sempre per provocare una reazione nei genitori e in particolare nella madre; man mano che diventa più grande poi, egli diventa sempre più consapevole che attraverso quel comportamento riuscirà ad attrarre l’attenzione della sua mamma e lo ripeterà tutte le volte che vorrà ottenere qualcosa.
Maggiore è il grado di disagio del bambino, maggiore è la sua propensione ad incorrere negli spasmi affettivi. Ecco perché il rischio di manifestare le crisi aumenta nei bambini che vivono in un ambiente familiare non sereno o addirittura conflittuale, soprattutto se questo si riverbera sul senso di autostima della madre e sulla sua capacità di gestire l’ansia. L’insicurezza genitoriale, infatti, spesso si traduce in comportamenti troppo severi o in ordini eccessivamente categorici nei confronti del piccolo, che diventa incapace di tollerare le frustrazioni e assume un atteggiamento aggressivo autolesionista da un lato, ma quasi ricattatorio nei confronti dei genitori, dall’altro”.
Cosa fare dunque?
“Innanzitutto è inutile colpevolizzarsi, anzi è controproducente : il senso di colpa rappresenta un terreno fertile per lo sviluppo di nuove insicurezze e provoca repentini cambiamenti nel comportamento dei genitori, che cercano di rimediare agli errori passati, ad esempio, assumendo un atteggiamento eccessivamente premuroso, a volte più pericoloso di un atteggiamento fermo e sicuro.
Meglio cercare di gestire la propria ansia, lavorando sulle paure e sulle convinzioni che possono riflettersi negativamente sugli atteggiamenti che adottiamo con il nostro bambino e che rischiamo involontariamente di trasmettergli, ricorrendo all’aiuto del partner e magari dello psicologo.
Nel momento della crisi poi, la giusta soluzione non consiste nel coccolare troppo il piccolo, perché questo rafforzerebbe il fondamento psicologico dello spasmo, cioè quel rapporto di causa-effetto tra la crisi respiratoria affettiva e l’attenzione della madre; più utile aspettare pazientemente che si calmi pur restandogli accanto, facendogli intendere che disperarsi fino all’apnea non è certo il modo giusto per ottenere qualcosa, ma anche che in ogni caso non lo abbandoneremo mai”.
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