Il bimbo fa ancora la pipì a letto: cosa possiamo fare?


Eccoci arrivati all’appuntamento con la nostra Psicologa Amica, la dottoressa Francesca Santarelli.
Questa settimana le ho chiesto di approfondire un tema che sta a cuore a tanti genitori: i bambini che fanno la pipì a letto.
Cosa bisogna fare? E’ meglio intervenire o lasciare correre? Spiegare o sgridare? Assumere un atteggiamento duro o morbido? Fino a che età è normale che bagnino ancora il lettino? Ed è un problema che si risolve da solo con il tempo o questi piccoli devono essere aiutati?

Ecco cosa ci consiglia la dottoressa Santarelli:

“Mi capita spesso che in studio mi portino bambini di diverse età con lo stesso problema: fanno ancora la pipì a letto in un’età in cui non ci si aspetta piu un comportamento simile.
Molto spesso mi sono accorta che c’è molta confusione a riguardo, e cosi, ho deciso di riflettere insieme a voi su questa tematica cosi delicata.
Cominciamo con il dire che l’enuresi notturna, o pipì a letto, è un fenomeno abbastanza comune: si verifica almeno una volta al mese nel 10% dei bambini a 6 anni e nel 5% all’età di 10 anni.

L’enuresi notturna si potrebbe considerare “normale” fino all’età in cui il controllo minzionale notturno potrebbe non essere ancora stato acquisito, ovvero fino a 5-6 anni.
Crescendo in età, l’enuresi dovrebbe tendere a risolversi spontaneamente, anche se lo 0,5% degli adulti potrebbe ancora non aver risolto il problema e in tal caso ci sono aspetti diagnostici che vanno valutati con attenzione.

Di solito si distinguono due tipi di enuresi:
• Primaria o primitiva: quando il bambino non è mai stato asciutto di notte;
• Secondaria o regressiva: quando il bambino, in precedenza continente, inizia a bagnare di nuovo il letto.

L’enuresi primaria è spesso familiare-genetica, mentre la secondaria è spesso legata a conflitti psicologici insorti in una fase successiva (nascita fratello, inserimento in asilo, ecc.) anche se bisogna lasciare al medico la possibilità di valutare la presenza, seppur rara, di cause organiche.

Seppur si possa ritenere “normale” l’enuresi fino a questa età, bisogna sempre prendere in considerazione che questo evento, anche se vissuto in un contesto familiare accogliente, viene sempre interpretato dal bambino e ancor più dal ragazzo e dall’adolescente, come un evento frustrante e che lo rende diverso, per cui è sempre opportuno considerare attentamente il suo comportamento e la sua autostima, per evitare spirali psicologiche negative.

Sembrerà sorprendente, ma i bambini che hanno enuresi più a lungo hanno spesso ereditato questa “caratteristica” dai genitori e questo ci fa comprendere la forte componente “ereditaria” del disturbo.

Poco frequenti, come responsabili, sono anche i disturbi emotivi, che invece possono comparire secondariamente se i genitori assumono nei confronti del bambino un “atteggiamento aggressivo” ritenendoli, a torto, responsabili del problema.
Il bambino non va perciò considerato un malato!

Il suo problema va valutato nella sua reale entità come un semplice ritardo della maturazione renale, vescicale e/o ormonale che, se affrontato serenamente, eviterà disagi e frustrazioni almeno nel bambino piccolo (sotto i 5 anni) affrontandolo e spesso risolvendolo con le misure appropriate all’età e alla condizione clinica che non è uguale per tutti.

Sebbene solo l’1% dei bambini che soffrono dell’enuresi continuano ad avere il problema dopo l’adolescenza la sofferenza psicologica che vi è legata può essere di notevole portata.
In particolare il disagio psicologico provocato dalla pipì a letto è direttamente collegato alla limitazione dei momenti sociali del bambino. In molte situazioni porta ad un vero e proprio isolamento sociale.

Molto forte può essere il senso di vergogna provato e il rifiuto verso qualsiasi attività che implichi l’uscita dall’ambiente familiare e il pernotto fuori casa.
Fonte di grande sofferenza nell’enuresi può anche essere il comportamento derisorio dei coetanei o anche l’incomprensione, la rabbia e talvolta il disgusto di chi si prende cura del bambino.

La presenza dell’enuresi segnala comunque un disagio psicologico e comprenderne il significato può prevenire ulteriori più gravi sviluppi o una cronicizzazione.

Ad esempio può segnalare la difficoltà che il bambino sta affrontando nel gestire importanti cambiamenti nel suo sviluppo come la nascita di un fratello oppure l’inizio della vita scolastica. Può verificarsi in presenza di un conflitto nella coppia genitoriale oppure può essere la conseguenza di una non adeguata e/o tardiva educazione al controllo degli sfinteri.
Eppure, ancora oggi oltre il 65% dei pazienti non viene trattato, perché il sintomo viene considerato trascurabile e si ritiene erroneamente che si risolverà nel tempo.

Per quanto capisco la difficoltà di ogni mamma di fronte ad una situazione problematica che riguarda il suo cucciolo, un atteggiamento del genere è altamente sconsigliato perché può portare a seri problemi di autostima nel bambino. Inoltre, si è visto che i bambini enuretici che non sono curati da piccoli corrono un rischio maggiore da adulti e da anziani di soffrire del medesimo disturbo, rispetto a quei bambini che invece vengono trattati in età pediatrica.
L’enuresi, pertanto, si può e si deve affrontare. Il primo passo è portare il bambino da un pediatra specializzato in enuresi, il quale valuterò la situazione e la sua complessità e determinerà che la causa primaria possa essere quella organica o psicologica (o entrambe).
Molte mamme mi scrivono e mi chiedono consigli su come comportarsi a riguardo, ma come rispondo sempre, con tutta la mia buona volontà e sincerità con cui faccio da sempre il mio lavoro, bisogna sempre valutare di caso in caso e non si possono fare diagnosi “virtuali” ne dare consigli uguali per tutti.
L’unica cosa che posso dire a riguardo è quella di tenere un atteggiamento rassicurante ma onesto con il proprio bambino, non negando il problema: spiegargli che alcuni bambini, normalmente, imparano a risolverlo più tardi di altri e che comunque la soluzione è alla sua portata o lo sarà crescendo; stabilire con lui sempre un clima “positivo”, in cui non si rimprovera per gli insuccessi, ma si loda e si premia per i successi.

Sono sicura che tutte voi, come sempre, troverete gli spunti per voi piu utili e che saprete fare del vostro meglio!
Ps grazie ancora a tutte le mamme che mi hanno fatto gli auguri per la mia gravidanza! Spero abbiate letto le mie risposte!”

Per appuntamenti o info con la dottoressa Francesca Santarelli, potete visitare il sito Internet del suo studio: www.studiosantarellidecarolis.com