Viva la Mamma

Superscatenati o iperattivi?

Santarelli2014Ci sono alcuni bambini che sembrano avere l’argento vivo in corpo: a casa corrono, saltano, si arrampicano e non stanno fermi un attimo. A scuola, le maestre si lamentano più o meno per gli stessi motivi, aggiungendo spesso che non sanno rispettare i turni, che sono a volte aggressivi e prepotenti e che sembrano annoiarsi quando sono in classe durante le lezioni.

Sono bambini superscatenati, iperattivi o cosa?
Ne parliamo con la nostra Psicologa Amica, la dottoressa Francesca Santarelli.

“Questi bambini sono sempre alla ricerca di nuovi stimoli e gratificazioni, disorientati di fronte alle tante proposte offerte loro e incapaci di rispettare i no.
Bambini che spesso mettono alla prova i genitori, che rischiano di perdere il controllo dinanzi a comportanti cosi tanto impegnativi dal punto di vista educativo.

Non parliamo poi, di come si sente una mamma cui vengono fatti notare certi atteggiamenti di un figlio cosi “vivace”, che si sente convocare dalle maestre con il consiglio di far valutare se il bambino in questione possa avere o meno un problema comportamentale. Ecco allora che arrivano dubbi e incertezze: “Sarà colpa mia? Dove ho sbagliato? Mio figlio ha un problema psicologico?”

Fino a quando non arriva un pensiero, magari sentito dire da altre mamme o letto su un giornale: è un bambino iperattivo?

Cominciamo subito a dire che una diagnosi d’iperattività non si fa sulla base della vivacità o della disobbedienza di un bambino e che oggigiorno, purtroppo, si parla di questo fenomeno con tanta leggerezza, superficialità e ignoranza.

Troppo spesso le maestre si permettono di fare autodiagnosi o etichettare le bizzarrie di un bambino con questo termine, gettando nel panico genitori anche inutilmente e abusando del loro potere senza sapere esattamente di cosa si tratta realmente tale definizione.

Per non parlare dei rischi in cui, in situazioni simili, lo stesso bambino si sente etichettare e definire con un termine simile come se fosse un “malato” e rinforzando in lui comportamenti sempre più attinenti a uno schema prefissato a cui magari non corrisponde realmente la realtà.

L’iperattività (o ADHD, cioè disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività) è un disturbo del comportamento vero e proprio e non si limita a descrivere solo quei bambini che ”non stanno mai fermi”.

Questo disturbo colpisce l’1-3% dei bambini (prevalentemente maschi) che manifestano queste tre caratteristiche: iperattività, impulsività e disattenzione. Comportamenti che, però, soprattutto a questa età, sono comuni a moltissimi bambini più scalmanati di altri.

Fino a sei, sette anni è infatti difficile fare una diagnosi perché i bimbi sono in una fase di esplorazione che li porta spesso a essere irrequieti, inoltre non padroneggiano il linguaggio ancora in modo maturo e completo, per cui si esprimono anche attraverso la motricità.

La differenza tra questi comuni aspetti e il ADHD sta nella capacità del bambino di regolarsi quando un adulto gli impone di fermarsi o di stare fermo e attento: quando viene ripreso, un bambino vivace si ferma e presta attenzione, quello con ADHD non cambia il suo atteggiamento e questo non perché sia disubbidiente e non voglia, ma perché ne è incapace.

È un bambino irrequieto, agitato, movimentato e iperattivo perché è alla ricerca continua di novità, di nuovi stimoli che lo soddisfano. Ecco allora che diventa invadente con i compagni e i fratelli: pretendo tutti i giochi per sé per poi abbandonarli perché si annoia subito.  Se non ottiene quello che vuole si arrabbia, piange e a nulla serve sgridarlo perché dopo un attimo ricomincia da capo.

Nel cervello di bambini che soffrono di ADHD qualcosa si blocca e va in tilt, come se il cervello fosse una grande rete ferroviaria, con stazioni più importanti che collegano le grandi città e da cui si dipartono le linee periferiche.  Se per qualche motivo, a Milano il traffico va in tilt, il caos si riflette sull’intera rete.

Nel cervello dunque di questi bimbi, la rete in qualche modo si blocca e va in tilt, arrestando il circuito di alcuni comandi come quello dell’attenzione, delle decisioni, dell’attività motoria che non arrivano a destinazione.

Sulle cause di questo deficit ci sono diverse ipotesi che lo legano a fattori genetici, biologici e neurobiologici.

Fattori organici dunque, che nulla hanno a che vedere con problemi psicologici o un temperamento vivace.

Purtroppo non si può far nulla per prevenire questo disturbo, ma si può attuare un corretto atteggiamento sin dalla scuola materna in modo da arginarne i sintomi, fornendo al piccolo le strategie più efficaci per affrontare il contesto scolastico e non.

Dire a un bimbo come questo “dai, fai il bravo” o “stai fermo”, non serve a nulla, perché sono richieste verbali prive di significato per lui, che non sa controllarsi.

È meglio invece agire a piccoli passi, facendo una richiesta semplice per volta: per esempio, “adesso ci sediamo qui insieme e proviamo a far questo disegno, colorando bene dentro ai bordi”.

Considerando le difficoltà de bambino, aiuta porre degli obiettivi raggiungibili, mostrandogli la strada necessaria e magari promettendogli un premio, che può essere per esempio, del tempo condiviso con uno dei genitore, un momento durante il quale, senza fratelli e incombenze varie, si fa qualcosa di divertente insieme.

Gli si deve chiedere di rispettare poche regole, ma semplici e chiare, imparando insieme a rispettarle.

L’importante, da parte di un genitore e un insegnante, è un atteggiamento consapevole, che sappia cosa fare perché istruito da personale competente e che sappia gestire in modo sano e costruttivo le proprie emozioni di rabbia che spesso tali bambini ti attivano in modo prepotente.

Dobbiamo uscire prima noi adulti dallo schema mentale di un bambino “monello”, altrimenti il tutto, non farà che peggiorare la situazione sia psicologica del bimbo, che di gestione del tutto.

Naturalmente, prima di arrivare a questa tappa, è fondamentale che il bimbo sia valutato da uno psicologo o uno specialista che sappia fare diagnosi e valutazioni competenti e che prenda in carico il bambino stesso e l’intera famiglia, fornendo per lui una rete di sostegno e aiuti validi che coinvolgano anche le insegnanti stesse.

Solo una rete di persone che lavorano insieme, se pur in modo diverso per competenze, su un bambino con ADHD, potrà ottenere ottimi risultati e una qualità di vita migliore per tutti.

 

Per appuntamenti  con la dottoressa Francesca Santarelli, o info, potete visitare il sito Internet del suo studio: www.studiosantarellidecarolis.com 

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