Ma in realtà non pronunciava “calcio”, ma “ca..o”.
Io e il papà abbiamo fatto finta di niente la prima, la seconda e la terza volta. E lui… incrementava la dose.
Fino a che mio marito, con calma serafica, gli ha detto: “Marco, per favore, pronuncia bene la parola calcio. L’altra lo sai che è una parolaccia e non si può dire!”.
E il furbetto gli ha risposto: “Quale altra parola papà?”. Sperava così di far pronunciare la parolaccia al padre!
Ma quante volte avete sentito i vostri piccoli furbetti dire le parolacce? Cosa bisogna fare? Ignorarli? Far finta di niente? O intervenire seriamente?
L’ho chiesto alla nostra Psicologa Amica, la dottoressa Francesca Santarelli.
Ecco cosa ci dice:
“La settimana scorsa è venuta una mamma nel mio studio per chiedere una consulenza per il suo bambino di 5 anni. Il consiglio che mi chiedeva era inerente al fatto che suo figlio ultimamente aveva cominciato a dire le parolacce e lei e suo marito non sapevano quale fosse il migliore atteggiamento da usare, anche perché, a suo dire, le avevano provate tutte, ma senza ottenere risultati di alcun tipo.
Questo fatto mi ha fatto riflettere e pensare alla contrapposizione che si possa provare di fronte alla forte emozione di quando il proprio cucciolo ci chiama “mamma” per la prima volta e poi inizia a parlare, e dall’altra parte, il forte sconforto di quando lo sentiamo dire per la prima volta la sua prima parolaccia, pronunciata magari pochi mesi dopo.
Ecco che improvvisamente emergono mille dubbi: dove l’avrà sentita e imparata, come è meglio comportarsi, per caso abbiamo sbagliato noi qualcosa….
(Anche se purtroppo accade anche che non scattino queste perplessità e domande, ma che i genitori inizino a ridere e scherzare con il bimbo su ciò che ha appena detto!….)
All’inizio le parolacce dei bambini suscitano sorpresa, stupore, interrogativi, dopo un po’ diventano difficili da gestire a livello educativo, fino ad arrivare ad essere imbarazzanti per gli stessi genitori che si sentono “incapaci di educare” o di affrontare la situazione al meglio, soprattutto se senza risultati apparenti. Più si cerca di farli smettere, più loro continuano…
Fino ai 2-3 anni i bambini pronunciano tutte le parole attribuendo a esse la medesima rilevanza, perché non ne comprendono pienamente tutte le sfumature di significato. A questa età, i piccoli adorano parlare e sentire il suono della loro voce. Le parole sono giochi, suoni divertenti che hanno anche lo scopo di comunicare per ottenere qualcosa. Per quanto riguarda le parolacce, benché i bambini non capiscano il significato di ciò che stanno dicendo, comprendono pienamente l’effetto che queste “strane” parole, interessanti e intriganti, suscitano nell’adulto e sono spinti a ripeterle per provocare nuovamente tale effetto. Spiegare che non si dicono, che sono “sporche” o immorali è inutile.
È solo dopo i 3 anni che i bambini cominciano ad attribuire correttamente il significato alle parole e possono distinguere tra “buone” e “cattive”, di pari passo con l’acquisizione delle regole morali, la distinzione tra vero e falso, bene e male.
Le motivazioni maggiori per cui i bambini le dicono sono:
– Per provocare una reazione.
– Per attirare l’attenzione.
– Perché gli piace il suono buffo e ridicolo.
– Per emulare i grandi.
– Per esprimere sentimenti forti come rabbia, paura o gelosia, in particolare dai 5 anni in poi.
I ragionamenti non servono sotto questa età e nemmeno le punizioni: sono metodi “razionali” che non fanno ancora parte del mondo della prima infanzia.
Vediamo invece cosa si può fare.
Innanzitutto non ridete! Mostratevi indifferenti se le parolacce vengono usate per attirare la vostra attenzione. Mantenete la calma e cercate di non ridere né ironizzare. Non mostratevi sdegnati o arrabbiati e siate fermi e decisi! Non cedete all’istinto di sgridarlo: lo considererà un modo efficace per attirare la vostra attenzione e userà le parolacce a questo scopo.
Evitate atteggiamenti repressivi, non punitelo perché sarebbe come invitarlo a sfidarvi. Mostratevi però offesi se le dice a voi. Comincerà a capire che la reazione provocata non è delle migliori.
In realtà, anche quando il bambino è molto piccolo è sempre meglio scegliere la via della spiegazione.
I metodi “forti”, come sculacciare il bambino ogni volta che dice una parolaccia, sono generalmente poco efficaci. Essi accomunano il bambino all’animale, riallacciandosi al principio del rinforzo negativo del vecchio comportamentismo, un metodo per creare apprendimento tramite la somministrazione di premi e punizioni, più adatto per i topolini da laboratorio che per essere umani, dotati di intelligenza!!
Se spiegate in modo semplice al bambino, anche sotto ai quattro anni, che il significato delle parole che pronuncia è offensivo, è brutto da sentire, rende cattivo chi lo pronuncia e triste chi ascolta, il bimbo capirà.
Se invece il bambino ha superato i sei anni ed ha effettuato l’inserimento scolastico le parolacce saranno un problema all’ordine del giorno.
In questo caso i bambini si rendono perfettamente conto dell’effetto che fa sentire una parolaccia, perché ne conoscono il significato. L’utilizzo delle parolacce è allora deliberato.
In questo caso anzitutto è necessario cercare la collaborazione degli insegnanti. Essi sono i primi che devono contrastare il fenomeno all’interno della classe, sforzandosi essi stessi di fornire un modello positivo ai bambini.
Altra cosa determinante, è l’esempio che il bambino ha da parte dei suoi familiari, non possiamo permetterci di rimproverarlo e farci scappare noi stesse e tutti gli altri membri della famiglia delle parolacce nei momenti di nevrosi, sicuramente non ne sarà per niente distratto ed al momento opportuno vi rinfaccerà di averlo fatto.
Se dovesse succedere porgiamo subito le nostre scuse dicendo che è stato uno sbaglio e staremo attente a non ripeterlo.
Non possiamo poi lamentarci di come nostro figlio si comporta, se siamo come sempre noi, i primi a darne l’esempio!”
Per appuntamenti o info con la dottoressa Francesca Santarelli, potete visitare il sito Internet del suo studio: www.studiosantarellidecarolis.com