Viva la Mamma

Scuola e bimbi stranieri nelle classi

Lo so che è venerdì pomeriggio e che la maggior parte di voi avrà già la testa e mezzo piede nel weekend e che quasi sicuramente non ha per nulla voglia di pensare alle “cose un po’ più serie”, ma mi è arrivata questa e.mail da parte di una mamma che mi ha fatto molto riflettere e che vi voglio sottoporre per uno scambio di pareri e opinioni.

“Gent.ma Sig.ra Maria Nigo, ma soprattutto Collega Mamma,
sono la mamma di un bambino che frequenta la terza elementare.
Lunedì scorso, primo giorno di scuola, mio figlio mi ha riferito dell’inserimento nella classe di un bambino straniero che non parla una parola di italiano.

L’art. 36 della L.n. 40 del 1998 garantisce per i minori stranieri il diritto allo studio, ma nulla prevede circa una concreta e corretta attuazione.

Pur riconoscendo l’alto valore del progetto educativo della nostra società formato sugli ideali di uguaglianza, non aderendo ad un’ipocrita e non utile (anche per il medesimo bambino straniero) buonismo, mi pongo una riflessione circa le criticità, soprattutto per la consapevolezza che un corretto e sereno inserimento dei bambini immigrati è anche una forma di prevenzione sociale razionale che mira ad evitare lo sviluppo di problematicità (le aspettative dello stesso bambino straniero, l’immagine che ha di sé, della propria cultura, il valore che dà alla diversità, propria e degli altri,il suo grado di apertura, ecc.).

Attesa la vitale necessità di alfabetizzazione della lingua italiana del medesimo bambino e la contemporanea esigenza di affrontare un processo di “appaesamento” con tutti i “conflitti” che ne derivano, mi chiedo come è possibile conciliare tutto ciò anche con le esigenze didattiche di una classe così impegnativa come è la terza elementare, soprattutto alla luce di programmi che hanno previsto già in seconda elementare lo sviluppo dell’analisi grammaticale, mentre ieri gli stessi bambini si sono trovati ad “iniziare” l’alfabeto.

Non ultimo corre l’obbligo, senza false ipocrisie, di osservare che l’accettazione, l’adattamento non è una mera aggiunta, passa per il modo di pensare e di agire del medesimo bambino, l’apprendimento linguistico non è frutto di traduzione simultanea, ma di un abbinamento a livello cognitivo, il linguaggio veste il pensiero e si corre il rischio di farlo sentire ancora più straniero nel senso di disagio, inadeguatezza.

Ringraziando per la cortese attenzione e fiduciosa nel prezioso confronto, cordialmente saluto”.

Sinceramente non so cosa rispondere. Mi prenderò il weekend per pensarci su.

In classe di Marco ci sono 3 bambini stranieri. L’anno scorso alcuni di loro non parlavano neppure una parola di italiano. Ma è una scuola materna. Giocano e imparano. Non ci sono attività didattiche come nelle elementari. I bambini stranieri hanno avuto tutto il tempo di integrarsi e di imparare anche la nostra lingua.
Uno di questi è diventato anche uno dei migliori amici di mio figlio e io ne sono stata ben contenta.

Ma il contesto, mi rendo conto, è completamente diverso.

In una classe elementare già avviata, come la terza, un inserimento di quel tipo rischia di frenare l’attività didattica anche degli altri bambini.
Anche se… a volte i bambini ci stupiscono! Hanno capacità di adattamento e apprendimento che superano ogni nostra aspettativa.

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