I compiti, quando diventano un incubo per figli e genitori

Oggi parliamo di un argomento che in passato, ma un passato molto recente, mi ha fatto tribolare e non poco: i compiti a casa.
Vedere il proprio figlio impiegare ore e ore per fare degli esercizi che si possono svolgere in pochi minuti mette a dura prova la pazienza di ogni genitore. 
I miei nervi, lo dico sinceramente, non reggevano. E così ogni weekend si trasformava in un incubo. 
Mi sono resa conto che ero io a non saper gestire la cosa. Preso atto, ho fatto un passo indietro lasciando campo libero a mio marito e ad una ragazza bravissima che ha aiutato mio figlio nell’autonomia. Ora, siamo in quarta elementare, le cose vanno molto molto meglio. Certo, di strada ce n’è ancora ancora tanta da fare, ma abbiamo superato il pezzo più tortuoso. Almeno spero! 
Ma quando sento parlare di difficoltà nel gestire i compiti, di momenti di crisi e di tensione in famiglia, capisco perfettamente lo stato d’animo.
Per questo ho chiesto alla dottoressa Santarelli di scrivere un articolo su questo tema, cercando di dare consigli a chi si trova a gestire un brutto rapporto con i compiti scolastici!
Ecco cosa ci consiglia la psicologa:

“Avere un figlio che manifesta in vari modi un brutto rapporto con i compiti scolastici è un evento che può mettere a dura prova un genitore.

Invece di essere un piacevole momento per stare vicino al proprio figlio, il momento dei compiti si concretizza in un momento veramente spiacevole che, per di più, si ripete quotidianamente!

Alla base di questo, spesso, vi è una mancanza di comprensione di ciò che sta succedendo al proprio bambino.

Quando un figlio si rifiuta ripetutamente di impegnarsi, temporeggia, si perde, si lamenta, sbuffa, ecc., un genitore  spesso si infastidisce, si sente preso in giro, oppure vive i comportamenti del figlio come una provocazione o come un vero e proprio affronto al proprio ruolo di genitore.

La reazione, quindi, è spesso di arrabbiarsi con lui, sgridarlo, accusarlo di scarso impegno o studio, punirlo o ricattarlo in vari modi, o addirittura svolgere i compiti al posto suo per porre fine alle liti.

Queste reazioni sono comprensibili, soprattutto quando il tempo e l’energia a disposizione scarseggiano. Tuttavia nella maggior parte dei casi sono controproducenti perché, non tenendo conto delle ragioni alla base dei comportamenti del figlio, si rischia di alimentarli o irrigidirli.

Per rompere questo circolo vizioso di negatività è necessario andare un pò incontro al bambino cercando di capire quali sono i motivi che stanno alla base di un tale comportamento.

Per capire cosa succede ad un bambino che non fa volentieri i compiti è utile per prima cosa avere chiaro cosa succede a chi li fa volentieri.
Un bambino fa volentieri i compiti quando questa esperienza è per lui fonte di piacere e di soddisfazione personale.

Lo è quando si sente “capace” di svolgerli e sa cosa si deve fare per riuscire bene, quando è sicuro che con un pò di sforzo ce la può fare, quando trova interessanti e divertenti le cose che impara, quando sente che la mamma o il papà sono felici nel vedere i suoi risultati positivi, quando li sente vicini e sente che può contare sul loro incoraggiamento o sostegno in caso di bisogno, quando è sereno e non ha particolari preoccupazioni.

In termini psicologici il bambino fa volentieri i compiti quando si verificano una o più delle seguenti condizioni:

  • il suo funzionamento cognitivo è adeguato alle richieste del compito
  • sa controllare bene la paura di fallire o di deludere qualcuno
  • ha una buona autostima e fiducia nelle proprie capacità
  • ha competenze metacognitive, cioè buone capacità di riflettere sui propri processi cognitivi (memoria, attenzione..)
  • ha acquisito un buon metodo di studio
  • ha un sistema di attribuzione interno, cioè sa che il successo in un compito deriva da vari fattori da lui controllabili: impegno, attenzione, esercizio…
  • ha una motivazione medio-alta, cioè prova piacere e desidera imparare e conoscere nuove cose
  • trova un buon supporto emotivo nel genitore o adulto che gli sta accanto
  • non ha un forte disagio emotivo per altre questioni (es: separazione genitori)

Vediamo ora, quando il momento dei compiti non è apprezzato dai bambini.
Un bambino invece, non fa volentieri i compiti quando questa esperienza è per lui fonte di dispiacere o di umiliazione personale.

Succede quando si sente “incapace” di svolgerli e non sa cosa si deve fare per riuscire bene, oppure lo sa ma non ci riesce da solo, quando è insicuro e teme di fare brutta figura, quando non trova piacere in quello che fa e non si sente stimolato, quando sente che la mamma e il papà si arrabbiano e sono delusi di lui per i suoi comportamenti, oppure quando non riesce a soddisfare le loro pretese, quando si sente apprezzato solo in virtù del compito fatto bene, quando si sente ricattato, quando sente la presenza del genitore paragonabile a quella del vigile e del carabiniere, quando ha preoccupazioni forti su qualcosa d’altro che gli impediscono di concentrarsi. Per esempio, un bambino che è preoccupato per la separazione dei genitori, non può trovare le energie sufficienti per svolgere i compiti serenamente.

In termini psicologici, il bambino non vuole fare i compiti quando si verificano una o più delle seguenti condizioni:

  • il suo funzionamento cognitivo è immaturo rispetto alle richieste del compito
  • ha un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (da diagnosticare verso i 7-8 anni) oppure altri disturbi di origine neurologica (disturbi alla vista..)
  • ha una bassa autostima e, quindi, poca fiducia nelle proprie capacità
  • non ha ancora acquisito competenze metacognitive e, quindi, capacità di riflettere sui propri processi cognitivi (memoria, attenzione..)
  • non ha acquisito un buon metodo di studio
  • ha uno stile attributivo esterno, cioè crede che i buoni risultati dipendano da fattori esterni, quali la fortuna o la facilità del compito, e quindi crede di non poter fare nulla per migliorare la sua prestazione
  • ha scarsa motivazione, cioè non trova piacere e interesse in quello che apprende
  • non trova un giusto supporto emotivo nel genitore o adulto che gli sta accanto
  • ha un forte disagio emotivo per altre questioni (es: separazione dei genitori)

Come abbiamo visto dunque, i vari comportamenti di rifiuto o di malessere di un bambino di fronte ai compiti nascondono diversi tipi di difficoltà: cognitive (“non capisco”), emotive (“non sto bene”), e/o motivazionali (“non ho voglia”).

Coglierle è importante per riuscire a svolgere la propria funzione genitoriale con efficacia, cioè per offrire al proprio figlio l’aiuto di cui ha realmente bisogno. Riuscendo a cogliere il nocciolo della sua difficoltà, è più facile trovare la strategia giusta per ottenere la sua collaborazione anche quando fare i compiti non è per lui piacevole. Non comprenderle o ignorarle, invece, porterà molto probabilmente ad una sua ribellione e al cosiddetto “muro contro muro”.

Se anche voi avete vissuto una situazione simile e vi sentite in difficoltà, oppure avete il sospetto che vostro figlio abbia una o più delle difficoltà sopra individuate e non sapete come aiutarlo, confrontatevi con l’insegnante e se, non sufficiente, con uno psicologo: insieme troverete il modo corretto per aiutare vostro figlio ad affrontare i compiti di casa con serenità”.

 

Copertina-Mamme-No-Panic

Per appuntamenti  con la dottoressa Francesca Santarelli, o info, potete visitare il sito Internet del suo studio:  www.studiosantarellidecarolis.com 

Francesca Santarelli è in libreria con il libro “Mamme No Panic”, scritto a quattro mani con Giuliana Arena

 

5 risposte a “I compiti, quando diventano un incubo per figli e genitori

  1. Purtroppo negli ultimi 15 anni con il taglio all’istruzione si è arrivati a questa situazione.
    Ovviamente ricade tutto sulle famiglie e sui ragazzi o bambini
    Studi ed evidenze , vedi il modello educativo finlandese il migliore al mondo, dove i compiti a casa sono inesistenti; indicano che tutte queste nozioni sono troppe e inutili , on lasciando poco o niente in più al ragazzo…

  2. L articolo mi piace molto. Lo trovo interessante ma nel mio personale caso, mio figlio ha otto anni, nessuno di questi motivi alla base, o forse sono io ke non riesco a coglierli…andrebbe approfondito e studiato probabilmente ogni singolo caso oggettivamente.
    Comunque grazie delle nozioni espresse…la psicologia è sempre un supporto eccellente!

  3. Maria sono contenta che le cose vadano meglio. Ti sento più serena e mi fa piacere.
    Relativamente all’articolo che dire…mi sono sempre considerata una mosca bianca. Non sono la mamma che si siede vicino al proprio figlio e che lo aiuta nei compiti.
    In primis xkè non ci sono fisicamente (se è x questo nemmeno nel we mi ci siedo anche se sono a casa), in secondo luogo ho sempre usato l’arte “dell’arrangiarsi”.
    Ovviamente non è né lassismo né mancanza di volontà e né tanto meno indifferenza come spesso mi hanno fatto notare.
    E’ una semplice presa di posizione dal momento in cui nessun deficit o problemi di apprendimento fossero presenti nelle mie figlie (in caso contrario il discorso sarebbe stato affrontato diversamente). A scuola non vado io. I compiti non devo farli io, imparare è il motivo principale x cui si va a scuola.
    Sarebbe stato molto più facile e comodo fare la scelta opposta, anche emotivamente. Apparentemente sembra tutto facile “lasciar fare”, ma in realtà non è così.
    Sapere che tua figlia non ha svolto il lavoro volontariamente, ti fa mangiare le mani ed il sangue ti sale al cervello ma, dal mio punto di vista, ricordare di fare i compiti è fin troppo.
    E’ stato più proficuo farla andare a scuola senza aver svolto il lavoro (ed aver preso una nota di conseguenza) che tanti urli e controlli, sempre a mio avviso, vani.
    La questione, x come la vedo io, è che spessissimo il problema è dei genitori e non del bambino.
    Voglio dire, se il bambino prende 10, l’orgoglio è del genitore e non del bambino stesso. Per carità è giusto sentirsi gratificati dal fatto che il proprio figlio vada bene a scuola…ma sapere che dietro a quel 10 c’è il lavoro del genitore (con aiuti o continue sollecitazioni)…beh x me non è proprio una soddisfazione. Preferisco di gran lunga un 7 preso solo e soltanto con le forze del bambino stesso, che secondo me avrà in questo modo l’autostima che cresce visto che il genitore sarà contento x lui, e non un voto più alto che il bambino saprà benissimo che non è dovuto solo e soltanto per le sue capacità.
    Parere personale ovviamente.

    • Sono d’accordo con te. Purtroppo il problema è che molti genitori oggi non accettano che il proprio figlio vada male, prenda un brutto voto, venga sgridato davanti a tutti e questo fa si che ci si sostituisca a lui…con le conseguenze negative che ne derivano.

  4. Salve anche x noi era un incubo fare i compiti… Ma mio figlio manifestava il desiderio di cambiare scuola e nel momento in cui abbiamo cambiato scuola tutto si è risolto! Quindi penso che una parte sia dovuto anche alle dinamiche che si innescano in classe sia con le insegnanti che con i compagni! Mio figlio ha 9 anni e durante quest’anno scolastico , quarta elementare, abbiamo cambiato! Grazie

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