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Deficit dell’attenzione e dell’iperattività: come riconoscerli e affrontarli

adhdI bambini molto vivaci, incontenibili e “iperattivi” sono sempre esistiti. Solo da qualche decennio, però, si è cominciato a parlare di un disturbo vero e proprio associato a questi comportamenti. La prima descrizione del disturbo risale al 1902 e da allora si sono succeduti innumerevoli studi che hanno portato ad una classificazione e a una descrizione più o meno puntuale del disturbo. Ancora oggi però, la diagnosi di ADHD è una delle più complesse da fare e la terapia di questo disturbo è oggetto di numerosi dibattiti in seno alla comunità scientifica internazionale.

Nel racconto dei genitori, il bambino affetto da ADHD ha una storia di sviluppo caratterizzata da ritmi irregolari sonno/veglia nel primo anno di vita, irrequietezza motoria eccessiva che diviene ancora più spiccata dopo la conquista della deambulazione autonoma. Il bambino affetto da ADHD dimostra interesse verso gli oggetti che lo circondano senza tuttavia riuscire a soffermarsi su di essi per un tempo necessario alla loro conoscenza: ciò porta i genitori a riferire che in realtà il proprio figlio non si appassiona a un gioco o a un’attività tipica della sua età.
Questi bambini sono capaci di reazioni eccessive di fronte al rifiuto dei genitori di assecondare un loro desiderio (ad esempio avere un giocattolo), e nello stesso tempo esplorano e usano in modo superficiale e frettoloso un oggetto avuto dopo molte insistenze. La debole tolleranza all’attesa e alla frustrazione può favorire nei genitori l’insorgere di comportamenti anticipatori rispetto alle richieste del figlio; essi tenderebbero cioè a soddisfare le richieste prima del momento stabilito (ad esempio un regalo dato anzitempo) o addirittura prima che vengano espresse dal bambino stesso, proprio per evitare crisi di pianto o reazioni comportamentali esagerate (ad esempio, gettarsi a terra, rifiutarsi di seguire i genitori durante una passeggiata).

Alcuni sintomi di disattenzione e/o iperattività-impulsività devono essere presenti prima dei 7 anni di età e devono causare menomazione nel funzionamento sociale, scolastico o lavorativo del soggetto. Sebbene la maggior parte dei bambini, soprattutto se valutati dai 7 ai 9 anni, abbiano sintomi sia di disattenzione che di iperattività- impulsività, vi sono alcuni soggetti in cui può predominare o l’una o l’altra caratteristica.

In merito all’eziologia del disturbo, vi è oramai un certo accordo tra clinici e ricercatori nel ritenere che esso sia da ricondurre a fattori di natura neurobiologica, mentre l’ambiente sociale e/o familiare può solo modulare le problematiche primarie del disturbo e quelle secondarie, nel senso di riuscire in parte a contenerle o, al contrario, se l’ambiente sociale e/o familiare è disgregato, a enfatizzarle.

E’ importante sottolineare che, sebbene vi sia unanimità in seno alla comunità scientifica internazionale nel riconoscere a questa patologia lo status di disturbo vero e proprio, nella realtà sono ancora molti i clinici che si rifiutano o che non condividono l’idea di “bollare” bimbi particolarmente vivaci con un’etichetta che potrebbe rimanere loro addosso per tutta la vita. In questi casi, a nostro avviso, la strada più indicata è quella della prudenza.
La diagnosi di ADHD deve essere fatta solo da personale esperto e qualificato e deve necessariamente prendere in considerazione non solo il bambino ma anche le informazioni provenienti dai colloqui con i genitori e con il personale scolastico. I manuali diagnostici agevolano il clinico nel classificare i comportamenti che, se presenti, segnalano la presenza del disturbo ma nulla dicono a proposito della frequenza con la quale questi comportamenti debbono verificarsi. In tali condizioni il discrimine tra la presenza o l’assenza del disturbo è affidata solo all’occhio del clinico. E’ evidente quanto importante sia che l’equipe che si occupa di effettuare diagnosi di questo tipo sia competente e preparata.

Numerose ricerche hanno accertato l’efficacia di specifici trattamenti, generalmente denominati psicoeducativi, sulle principali caratteristiche del disturbo (impulsività, disattenzione e iperattività) come sulle problematiche secondarie, quali la difficoltà a rispettare le regole, a mantenere significative relazioni sociali, affrontare situazioni di problem solving, adottare adeguati comportamenti in classe, ecc). E’ opportuno però sottolineare che tali trattamenti sono i trattamenti d’elezione in Italia. In altri paesi viene utilizzata come via principale del trattamento l’intervento farmacologico (psicostimolanti come  e destroamfetamine, il metilfenidato e la pemolina).
In Italia il trattamento farmacologico è molto infrequente. La terapia farmacologica del disturbo è cronica e i benefici, sebbene evidenti nell’80% dei casi, riguardano solo i sintomi primari del disturbo mentre sui sintomi secondari non avrebbe alcun effetto.  L’approccio farmacologico alla terapia di questo disturbo desta non poche preoccupazioni e non poche critiche anche in seno alla scienza.  I sostenitori di una terapia solo psicologica o psicoeducativa dell’ADHD portano avanti le proprie tesi basate sull’evidenza di significativi miglioramenti nei bambini sottoposti al trattamento rispetto a tutti i sintomi associati al disturbo e non solo ad alcuni di essi.

La presenza di dibattiti così numerosi sia all’interno della ricerca che negli studi dei clinici evidenzia la necessità di studi più approfonditi rispetto ai risultati degli interventi sia farmacologici che psicologici ma non solo. Appare evidente l’importanza di avere una maggiore definizione e chiarezza rispetto a quali comportamenti siano da ascrivere all’ADHD e, di conseguenza, a quali comportamenti invece siano del tutto normali o comunque non addebitabili alla presenza di un disturbo. Il rischio, in assenza di ciò, è il dilagare di diagnosi di ADHD su bambini normali o con un temperamento vivace e attivo e anche la difficoltà di indicare alle famiglie una strada scientificamente valida e univoca  per il trattamento.

 

Per appuntamenti  con la dottoressa Francesca Santarelli, o info, potete visitare il sito Internet del suo studio:  www.studiosantarellidecarolis.com 

Francesca Santarelli è in libreria con il libro “Mamme No Panic”, scritto a quattro mani con Giuliana Arena

 

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