Viva la Mamma

Quando il bambino ha problemi a scuola: come riconoscerli e come aiutarlo

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Oggi con la psicologa amica affrontiamo un tema a me molto caro: i disturbi dell’apprendimento (DSA).

Ci sarebbe un mondo da dire, migliaia di esperienze da raccontare…

Ma oggi partiamo con l’A,B,C e cerchiamo con l’aiuto della dottoressa Santarelli di capire quando si parla di dislessia, disgrafia, discalculia, di che cosa si parla…

Ma su questo tema ci torneremo ancora, ancora e ancora, perché coinvolge un numero sempre maggiore di bambini e ci sono tante cose da capire e approfondire.

Intanto, prima di leggere le parole della dottoressa, vi chiedo, se avete delle esperienze da raccontare, di scrivermi, magari la vostra storia può essere uno spunto per ulteriori approfondimenti.

 

 

“Fino a non molto tempo fa, i genitori si sentivano ripetere dalle insegnanti frasi come “suo figlio è svogliato” oppure “non si applica”. Questo perché la dislessia è stata, fino a tempi piuttosto recenti, un problema invisibile e chi ne soffriva, non essendo riconosciuto, finiva per essere etichettato come lento o svogliato. Questo creava un circolo vizioso perché il bambino dislessico, dovendo affrontare continue frustrazioni davanti agli insegnanti e ai compagni, alla fine perdeva la propria autostima e disinvestiva sulla scuola. Oggi sappiamo che la dislessia è un disturbo molto diffuso è che, contrariamente a quanti alcuni pensano, un bambino dislessico è un bambino intelligente. Ora si è finalmente capito che i tempi di apprendimento non sono uguali per tutti: per questo occorre mettere in atto alcune strategie, sia a casa sia scuola, per compensare tali difficoltà.

Troppo spesso ancora oggi gli insegnanti pensano di poter fare diagnosi sui disturbi dell’apprendimento (DSA) senza conoscermi veramente le differenze e le caratteristiche.

Non esiste infatti solo la dislessia, così come non esiste solo l’etichetta di un bambino che fa fatica a scuola.

Voglio spiegarvi con più facilità possibile cosa sono i disturbi dell’apprendimento. 

Già in famiglia o alla scuola dell’infanzia si può sospettare che ci siano difficoltà che potranno portare alla diagnosi di DSA. Ma quest’ultima viene fatta non prima della fine del secondo anno della scuola primaria. In molte scuole si eseguono test di screening e, in caso di sospetto, si invita la famiglia rivolgersi a uno specialista. La diagnosi di DSA può essere fatta, infatti, solo da un’equipe composta dal neuropsichiatra infantile, logopedista e psicologo. Una volta in possesso della certificazione, la diagnosi va presentata a scuola per elaborare un piano didattico personalizzato (pdr).

I principali Dsa sono questi:

DIFFICOLTÀ A LEGGERE:

Con il termine dislessia si intende una difficoltà nell’imparare a leggere, in particolare nella decifrazione dei segni linguistici e della correttezza e della rapidità della lettura. Si manifesta con problemi come fatica nella lettura, lettura scorretta e tempi dilatati di lettura, difficoltà di comprensione del testo legate alla decodifica difficoltosa disegni, minori risorse attentive da dedicare al contenuto, difficoltà nel riconoscimento di parole complesse, nuove, poco frequenti, necessità di rileggere più volte un testo. Si possono manifestare anche difficoltà a decodificare i simboli matematici o a seguire la lettura di un testo in classe o una spiegazione svolta con l’ausilio di scritte alla lavagna.

 

PROBLEMI A SCRIVERE

Con il termine disgrafia si intende un disturbo specifico di scrittura. I problemi più evidenti riguardano il tratto calligrafico poco fluido, quindi lentezza, difficoltà utilizzare un solo tipo di carattere, difficoltà a mantenere la scrittura sulla riga, all’interno dei quadretti e dei margini, inaccuratezza nei disegni di tabelle, figure geometriche, confusione tra la destra e la sinistra. Nella realizzazione di compiti di area matematico- scientifica, si evidenzia una non sufficiente attenzione alla collocazione dei numeri (operazioni in colonna).

In questo ambito occorre anche escludere un errato insegnamento del movimento del corsivo, che porta un “falso disgrafico”. Spesso la disgrafia è accompagnata da difficoltà nell’ educazione fisica.

 

CONFUSIONE CON LE LETTERE

La disortografia è un disturbo specifico di scrittura che si manifesta con una difficoltà nei processi linguistici di transcodifica, ossia con una scrittura scorretta  (lettere scambiate, omesse o invertite; parole attaccate; omissione di accenti e apostrofi), con fatica nella scrittura, tempi dilatati e piacere assente o scarso nella scrittura. Il bambino fa fatica a prendere appunti, copiare dalla lavagna, scrivere i compiti sul diario. In particolare, nella realizzazione di compiti scritti di area linguistica si evidenzia una non sufficiente attenzione dedicata alle maiuscole o alla punteggiatura.

…..E CON I NUMERI….

La discalculia invece, è un disturbo che si manifesta con una difficoltà negli automatismi del calcolo e dell’elaborazione dei numeri. Le difficoltà riguardano l’accesso al significato quantitativo dei numeri e alla comprensione delle loro relazioni, l’enumerazione in avanti all’indietro, lo scrivere o il leggere i numeri, il calcolo a menteo scritto. Problemi spesso correlati sono l’impossibilità di memorizzare elenchi seriali. La discalculia si manifesta con una fatica enorme e imparare le tabelline, le declinazioni, le coniugazioni verbali, i termini tecnici e scientifici, le date storiche, le sequenze di vario genere (i giorni della settimana e i mesi) e a memorizzare qualunque tipo di formula o regola di calcolo.

 

 

Mio figlio parla da solo

Aiuto: mio figlio parla da solo! Una volta acquisita una certa dimestichezza con il linguaggio, intorno a 3-4 anni, il bambino tende spesso ad accompagnare la propria attività a una sorta di monologo. Non a caso gli psicologi dell’età evolutiva definiscono questa come la fase del “monologo egocentrico” o del ” pensiero ad alta voce”, una tappa importante dello sviluppo cognitivo infantile che introduce l’interiorizzazione del linguaggio e una prima strutturazione del pensiero. Rispetto al linguaggio “socializzato”, in cui il bambino si rivolge a un interlocutore con uno scopo (informare, lamentarsi, chiedere), quello “egocentrico” non ha più obiettivi pratici o particolare intenzioni e poi esprimersi in vari modi:

-L’ecolalia, cioè la ripetizione per imitazione di sillabe e parole per il puro piacere di parlare e sentirsi parlare.

– il monologo, che consiste nel parlare a voce alta senza manifestare la volontà di essere uditi da qualcuno.

-Il monologo collettivo, quando il piccolo parla da solo in presenza di altri senza preoccuparsi di farsi capire, ma con l’intento generico di attirare l’attenzione e di farsi sentire.

Solo raramente il bambino parla da solo per colmare una carenza di comunicazione con i genitori: nel caso questi scambi siano ridotti o inadeguati, per compensare questa mancanza potrebbe appunto essere spinto a parlare più frequentemente da solo. Questo capita di rado, ma comunque mamma e papà devono essere consapevoli di quanto sia importante fornire al piccolo adeguate risposte e simulazioni verbali.

In alcuni casi il bambino che parla da solo in realtà si rivolge ad un “amico immaginario”, un fenomeno frequente tra i 3 e gli 8 anni di età che, quasi sempre, viene superata attraverso il graduale sviluppo psicologico. Si tratta di un’elaborazione della fantasia infantile che permette al piccolo di esternare sensazioni e desideri che non è capace di esprimere direttamente. Solo se la sua presenza di questo amico finisce per riflettersi sul comportamento del bimbo, condizionando i suoi rapporti con i coetanei reali è consigliabile consultare uno psicologo dell’età evolutiva per accertarsi che all’origine di questa invenzione non sia presente un disagio emotivo.

Per appuntamenti  con la dottoressa Francesca Santarelli, o info, potete visitare il sito Internet del suo studio:  www.studiosantarellidecarolis.com 

Francesca Santarelli è in libreria con il libro “Mamme No Panic”, scritto a quattro mani con Giuliana Arena

 

 

 

 

 

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