Quante volte al parco avete visto bambini piuttosto intraprendenti fare piccoli dispetti agli altri coetanei? Dispetti come strappare un gioco dalle mani dell’altro o portare via la palla o anche il ciuccio dalla bocca.
Alcuni piccoli reagiscono, cercando di riappropriarsi di quanto gli è stato tolto. Altri, invece, rimangono fermi, si intristiscono, magari piangono, tornano da mamma e papà, ma non vanno a recuperare il loro gioco.
Che fare?
Certo, l’istinto ci porterebbe ad intervenire a favore del bambino indifeso. Ma è giusto?
Meglio cercare di spronare i bimbi timidi a difendersi o rispettare la loro natura?
Ecco cosa ci consiglia la dottoressa Santarelli:
“Ogni bambino ha il suo carattere e il suo temperamento e soprattutto, ognuno ha un suo percorso individuale nello sviluppo di competenze e abilità. Non occorre per questo allarmarsi subito di fronte a lievi ritardi, ma ci sono casi in cui, certi segnali, vanno individuati subito.
C’è un categoria di bimbi che sto vedendo molto spesso nella mia attività clinica negli ultimi anni, bambini che parlano poco , piangono spesso e non sanno difendersi …
I genitori mi riferiscono che sembrano all’apparenza, solo bambini timidi, sempre distanti dagli altri, che non socializzano facilmente, che soprattutto sfuggono al confronto con i coetanei e che non reagiscono alle provocazioni e finiscono sempre per restare da soli in un angolo.
Proprio ieri una mamma mi raccontava: “Quando lo porto a qualche compleanno, non vuole mai allontanarsi da me, non partecipa ai giochi e mi obbliga a restare nella stessa stanza”. E ancora: “Mio figlio, se qualche compagno è prepotente , non riesce a difendersi, resta immobile senza dire nulla, non sa difendersi”.
Ma qual’è il centro del problema?
Da una parte c’è il bambino, che sembra soffrire in silenzio, sospeso tra il desiderio di appartenere al gruppo di coetanei (compagni di scuola, i vicini di casa…), e la paura di trovarsi nella solita situazione di inadeguatezza e vergogna di sè.
Dall’altra ci sono i genitori, che si chiedono il motivo di tanto timore da parte del loro figlio – non dimentichiamo che i nostri figli sono depositari dei nostri sogni, di aspettative che non sempre gli appartengono – , a volte si accusano a vicenda d’essere troppo protettivi o troppo aggressivi con il bambino “intimidito”.
Si chiedono se è meglio intervenire nelle situazioni in cui vengono attaccati difendendoli oppure lasciandoli soli, se devono insegnare loro a contrattaccare oppure a sopportare senza irritarsi più di tanto.
Forse perchè il bambino timido, poco reattivo e attaccato alla “gonna” della mamma oggi è un immagine in controtendenza rispetto alle attese del mondo degli adulti, che prevede bambini bionici, che fanno mille sport, attivi e solari, sempre allegri e con mille amicizie, bravi a scuola e capaci anche di sostenere brillantemente qualsiasi prova: praticamente ci si aspetta dai bambini che riescano dove gli adulti falliscono, riscattandoli.
Quando un bambino al contrario dimostra insicurezza, paura dell’altro e remissività, quando non appare come un “vincente” , allora a qualche genitore viene spontaneo affermare: “Non ha preso nulla da me quindi non è colpa mia ma solo un suo problema di carattere”.
Col risultato che il bambino si sente incompreso e rifiutato, il che aumenta la sua disistima, oppure:
“E’ colpa della madre/padre che lo coccola troppo e non gli insegna a stare con gli altri”
Stesso risultato, con l’aggravante che il bambino sente d’essere anche motivo di litigio tra i genitori.
Cosa fare? In primo luogo, non fateglielo pesare, confrontandolo con gli “altri” così bravi e socievoli, perchè ciò che desidera vostro figlio è solo di essere amato. Un atteggiamento troppo remissivo trova spesso ragione in una insicurezza di fondo, nell’idea che contraddire o opporsi agli altri vuol dire mettere a rischio l’amore degli altri. Cercate allora di mostrare più attenzione ed interesse per quei comportamenti che esprimono i suoi desideri, che lo rappresentano veramente, incoraggiatelo ad esprimere con voi e con gli altri quelle che sono le sue vere aspirazioni, ma anche a verbalizzare le emozioni negative che lo attanagliano e gli impediscono di essere libero nella relazione con gli altri.
Se litiga e non si difende? Sarebbe preferibile non intervenire subito, lo squalifichereste ai suoi occhi e a quelli dei coetanei, piuttosto parlatene, in un secondo momento, al solo scopo di comprendere se la sua è una scelta ragionata o dettata dall’impossibilità di agire diversamente. Parlategli di voi stessi, delle volte in cui vi siete sentiti come lui, senza però suggerirgli comportamenti idonei, altrimenti penserà di dovervi imitare e si “spersonalizzerà” ancora una volta.
Non etichettatelo: se il bambino vi sente affermare di continuo in famiglia o peggio davanti ad altre persone che è timido, remissivo, troppo tranquillo, questo gli confermerà che il suo carattere è quello e che non potrà mai cambiare: se lo dice la mamma/il papà avrà il peso di un marchio a vita.
Chiedetegli piuttosto cosa pensa dei litigi, della socializzazione, dei coetanei e degli adulti, che reazioni si aspetta, insomma aiutatelo a conoscersi, avrete così un’ottima occasione per sapere come legge la vita, cosa pensa e ciò che desidera.
Per appuntamenti con la dottoressa Francesca Santarelli, o info, potete visitare il sito Internet del suo studio: www.studiosantarellidecarolis.com