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Vi siete mai chiesti quando nascono le emozioni dei bambini o come nascono?
Ebbene le primissime emozioni le provano già quando non sono ancora nati, direttamente nella pancia della mamma.
Ed è importante per i genitori, e le mamme in particolare, capire e cogliere i segnali emotivi nei loro cuccioli.
Insieme alla nostra Psicologa Amica, la dottoressa Francesca Santarelli, iniziamo oggi questo percorso, che porteremo avanti per qualche settimana.
Ecco cosa ci dice la dottoressa Francesca Santarelli:
“Care mamme,
ultimamente ho partecipato ad un corso di aggiornamento che mi ha letteralmente fatto ricredere su una serie di ipotesi che non erano ancora state mai confermate nel mondo della neonatologia.
Il tema era: come il bambino impara a trasformare le proprie sensazioni, fin dalla nascita, in emozioni vere e proprie.
Ecco perché pensavo di darvi una sorta di manuale d’istruzioni che spieghi, di settimana in settimana, la nascita di un’emozione specifica, in modo che insieme possiamo fare una sorta di percorso e di formazione inerente al mondo emotivo dei nostri cuccioli.
Oggi voglio farvi una premessa su come e perchè è importante leggere le richieste del nostro bebè.
Non so se sapete che i neonati, fin dai primi giorni, anche se non sono ancora capaci di esprimersi con le parole, usano un vero e proprio linguaggio fatto di sguardi, espressioni e pianti .
Compito del genitore è decodificare questi messaggi mettendosi in sintonia con il proprio bimbo e con le sue modalità di interazione con il mondo circostante.
La cosa importante per stabilire una relazione profonda con il proprio cucciolo sta nella capacità della mamma di leggere un segnale e rispondervi in modo adeguato.
Questo significa prestare attenzione alle espressioni, ai vocalizzi, al tipo di pianto e a una certa agitazione nel corpo.
Alcuni genitori sono molto sensibili alle manifestazioni di disagio, ma non leggono la voglia del bambino di interagire. Altri si focalizzano su quest’ultima, ma tendono a trascurare le emozioni negative, magari nell’intento di favorire la conquista dell’autonomia, scoraggiando il legame di dipendenza emotiva.
L‘ideale invece, sarebbe riuscire a percepire sia la volontà di interagire sia eventuali segnali di malessere. Importante per questo, imparare a interpretare i segnali evitando gli automatismi!
Ci sono mamme che associano sempre il pianto alla fame e “risolvono” offrendo il seno.
Il pianto pianto, può avere diverse cause per il bebè come: freddo, sonno, colica, noia…. E non sempre il seno, passati i primi mesi di vita, è la risposta più “nutriente” dal punto di vista psicologico.
È importante imparare a dare una risposta adeguata e allenare alla capacità di attesa del bebè.
Un bambino piccolo infatti, non può aspettare neanche due minuti! Lui vive di istinti e pulsioni e la risposta al suo bisogno, al suo stato d’animo, deve arrivare con prontezza! Ma attenzione…. questo non significa accontentarlo immediatamente! intorno ai 10 -12 mesi infatti, si può cominciare a modulare e articolare la risposta. Per esempio guidando il piccolo con la voce: “sono qui!”, “arrivo!” . O ancora, se la pappa non è pronta, si può iniziare a mettere il bavaglino e guardare insieme il tegame sul fuoco cantando una canzoncina nell’attesa.
Questo serve ad allenare la capacità di attesa e a fargli capire che i suoi bisogni sono accolti.
A volte la risposta può essere un “no”, ma deve comunque arrivare.
Detto questo, ecco che possiamo cominciare ad analizzare una carrellata delle principali emozioni e delle modalità con cui i neonati si allenano a esprimerle, con la consapevolezza che ogni bebè, per adattarsi al mondo esterno, ha bisogno dei suoi tempi,diversi da individuo a individuo.
L’ipotesi che vi accennavo all’inizio riguardo la nascita delle emozioni nel neonato è stata confermata da una serie di approfondimenti che hanno dimostrato che già nel feto, nell’ultimo trimestre di gravidanza, è possibile osservare varie espressioni facciali tra cui il sorriso e così detto “distress” , cioè quella espressione che precede, accompagna e segue il pianto nel neonato e nel lattante.
Alla nascita poi, certe emozioni negative vengono manifestate in modo coerente- ad esempio il bambino piange se ha fame o mal di pancia- mentre il sorriso compare inizialmente solo durante il sonno e senza un’apparente relazione con le stimolazioni che vengono dal mondo esterno.
Per questo, è conosciuto come sorriso endogeno, cioè che viene “da dentro”. Ma già intorno ai due mesi il piccolo sorride quando guarda la mamma dando il via a quel gioco di rimandi e rispecchiamenti reciproci che rendono sempre più fluido e profondo il legame di attaccamento.
L‘espressività dei più piccoli si basa fondamentalmente su quattro stati d’animo che sono:
– il benessere ( che include anche la gioia e divertimento): occhi socchiusi, viso disteso e bocca semiaperta.
-il disagio ( fastidio, disgusto, tristezza, leggera paura, frustrazione e rabbia): occhi aperti per controllare l’ambiente, fronte leggermente corrugata, bocca aperta e a “U” rovesciata.
– il dolore ( paura intensa, sofferenza fisica -per fame, freddo, bruciore -o psicologica): occhi chiusi, fronte corrugata, viso arrossato, bocca aperta nel pianto e atteggiamenti inerme. È fondamentale riconoscere il dolore fisico e un indizio utile è osservare gli occhi che si mantengono chiusi nel pianto.
-la neutralità (moderato piacere, ma anche sorpresa, interesse, osservazione e curiosità):occhi aperti, bocca moderatamente sorridente oppure aperta a “O”.
Il fatto che 4 espressioni generiche riassumono una molteplicità di stati d’animo non significa che il bambino non sia già in grado di provarli in modo netto e preciso.
So che vi ho detto tante cose generiche e un po teoriche, ma sono fondamentali per poter iniziare l’iter delle emozioni dei bambini.
La prossima settimana cominciamo a parlarne piu dettagliatamente. ….seguitemi!”
Per appuntamenti con la dottoressa Francesca Santarelli, o info, potete visitare il sito Internet del suo studio: www.studiosantarellidecarolis.com