“Pronto? Mamma? Scusami non ho tempo per stare al telefono, sto andando con Marco al corso di improvvisazione teatrale e siamo già in ritardo. Comincia alle 10 e mezza”
Lei: “Non ho capito, dove state andando”
Io: “Al corso di improvvisazione teatrale”
Lei: “Ma che cos’è?”
Io: “Mamma ti spiego dopo. Ciao!”
Come si fa a spiegare ad una mamma che di teatro è assolutamente digiuna, che cos’è un corso di improvvisazione teatrale? E poi, perché andarci con un bambino?
Faccio un passo indietro e vi racconto.
Irene, la mia collega, fa improvvisazione teatrale. Un’arte, una passione che non solo sa raccontare molto bene, ma sa anche trasmettere. Quando mi parla dei suoi spettacoli mi fa venire una voglia di provarci…
E così quando qualche settimana fa mi ha detto che a Teatribù, la scuola che frequenta lei, stavano organizzando un corso dedicato a genitori-figli, mi sono detta: “Questa è un’occasione da non perdere, da non lasciarsi sfuggire”.
L’ho detto a Marco. “Ehi, artista, che ne pensi se ci cimentiamo io e te in questa avventura?”
Lui non molto convinto ha risposto: “Ok, ma che cos’è?”
Non avevo neppure io le idee chiare, in fondo non ho mai fatto nulla del genere. Così per mantenermi sul vago gli ho risposto: “E’ recitare senza avere un copione. Improvvisando. Di più non so. Lo scopriremo insieme!”
Domenica mattina abbiamo lasciato gli altri due uomini a casa e io e lui siamo andati al corso. Ci siamo iscritti.
Siamo entrati in questa grande sala. Calze antiscivolo ai piedi, musica soffusa. C’erano altre 7 coppie adulto-bambino e un insegnante: Eugenio.
(Il nome è quasi azzeccato, si sarebbe dovuto chiamare “E’ un genio”)
Non ci conoscevamo. E se posso essere sincera sono rimasta anche sorpresa nel vedere che eravamo in tanti.
Sono state due ore faticose, ma piene di emozioni.
All’inizio abbiamo camminato in questa stanza in ordine sparso salutandoci solo con gli occhi. Poi in cerchio ci siamo presentati. Ognuno doveva scegliere per se stesso un aggettivo che iniziasse con la propria iniziale del nome. Marco ha scelto “Magico Marco”, io “Meravigliata Maria”, ma abbiamo conosciuto anche un “Mangione Marco”, una “Santa Sofia”, un “Nuvoloso Nicola”…
Poi i bambini hanno dovuto dire qualcosa per descrivere il genitore che lo accompagnava e gli adulti qualcosa del proprio bambino.
Sembra banale, ma per un bambino di 7 anni vincere la timidezza ed esprimersi davanti ad un gruppo di persone che non conosce , mentre tutti hanno gli occhi puntati su di lui, non è semplice.
Cosa ha detto Marco di me? “Che mangio tanti dolci. E che una volta sono stata capace di mangiarne uno intero, molto grande, dicendo alla fine che non mi era piaciuto…”
Poi abbiamo imparato ad esprimere le emozioni senza parlare con la voce, ma facendo parlare solo il corpo. La gestualità, la postura, gli occhi riescono a dire tantissimo. Riescono a trasmettere i nostri stati d’animo senza farci aprire bocca: tristezza, paura, timidezza, felicità, orgoglio, gelosia, stanchezza…
Il corpo si muove, si protende in avanti quando è felice, si irrigidisce quando ha paura, indietreggia quando è timido. Senza che ce ne accorgiamo… LUI PARLA!
Ed è bello ed emozionante riuscire a carpire, sentire con gli occhi quello che la voce non dice.
Abbiamo fatto tanti giochi: dalle statue di gruppo, al “zip-boeing”, al “carta-forbice-sasso” con il corpo (solo che eravamo principe-principessa-drago).
Cosa mi è piaciuto? Entrare in un’altra dimensione. Staccare da tutto per due ore e respirare un’aria completamente diversa. Niente lavoro, lavo, stiro, doveri, doveri e doveri… Ma arte. Questa “cosa” ormai quasi sconosciuta a molti, considerata quasi “inutile” da chi non la sa apprezzare, ma che arricchisce la mente e l’anima.
Fare quest’esperienza con Marco. Io e lui teatro. Io e lui che facciamo le statue. Io e lui che proviamo ad esprimerci davanti ad un pubblico di sconosciuti, vincendo tutte le paure.
Marco? All’inizio era spaesato e un po’ in imbarazzo. Quando si sente così lui reagisce facendo lo sciocchino, ridendo senza motivo, oppure sdraiandosi a terra. Diciamo che non era presente e partecipativo come gli altri bambini. Pian piano è andata meglio.
Ma quando alla fine il maestro ha chiesto ad ognuno di noi una parola che racchiudesse le sensazioni di quell’esperienza lui ha risposto: “Non so cosa dire!”…
Tenero!
A casa ha descritto al padre tutto quello che avevamo fatto. Ha raccontato ogni cosa nei minimi particolari, facendomi notare anche dettagli che mi erano sfuggiti.
Allora ho capito: lì all’inizio sembrava assente e disinteressato. In realtà stava registrando tutto. Il suo corpo stava parlando al suo posto, esprimendo disagio, timidezza, imbarazzo. Anche queste sono emozioni!
Ora ci aspettano altre tre lezioni da qui a dicembre.
Vi saprò dire!
Intanto…. Buona la prima 🙂