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Bambini che mangiano poco: quanta preoccupazione per i genitori, ma…

Boy refuses to eating

Qualche settimana fa abbiamo parlato di bambini che rifiutano alcuni cibi o si rifiutano addirittura di mangiare.
Oggi sempre in compagnia della dottoressa Francesca Santarelli affrontiamo un altro aspetto dello stesso problema, che ugualmente è fonte di preoccupazione per i genitori: cosa fare se il bambino mangia poco?

La nostra Psicologa Amica ci suggerisce alcune strategie da mettere in pratica per invogliare anche i bambini più inappetenti a mangiare un po’ di più!

Ecco cosa ci consiglia Francesca Santarelli:

“Accade spesso che i genitori non si sentano soddisfatti dell’alimentazione dei loro figli sia per la quantità ma anche per la qualità. L’educazione alimentare è importante per la salute e la crescita del bambino ma spesso attraverso il cibo tendiamo a comunicare o leggere anche altri messaggi affettivi, oltre a quelli nutrizionali. Quindi ci troviamo di fronte a due aspetti dello stesso problema quello fisico, legato ad una crescita sana e regolare, e quello relazionale, legato ai significati che attribuiamo alla nutrizione e ai messaggi che inviamo attraverso di essa.

Dal punto di vista fisico, una volta esclusa una problematica di tipo fisiologico-meccanica (celiachia, reflusso esofageo, etc.) o psicopatologica grave (anoressia, avversioni elettive, etc.), il pediatra e lo psicologo consigliano, a ragion veduta, di non preoccuparsi eccessivamente ma di accettare che il bambino possa avere poco appetito e tentare strategie per stimolare un’alimentazione varia e sufficiente per una normale crescita.

Alcune strategie utili, da adeguare all’età e ai bisogni del bambino, possono essere:

Dott.ssa Francesca Santarelli

– proporre cibi diversi, la varietà stimola i sensi e quindi anche l’appetito;

– proporre, dove possibile, cibi interi per poi sminuzzarli successivamente, la frammentazione non è ben vista dai bambini piccoli poiché loro stessi faticano ad avere una visione di Sé unitaria;

– stimolare l’autonomia, durante l’alimentazione, il prima possibile e accrescerla progressivamente secondo le nuove capacità acquisite, la capacità di fare da Sé permette al bambino di sentirsi un partecipante attivo della sua nutrizione e quindi di poter scegliere secondo i propri bisogni;

– evitare di sostituire i pasti non soddisfacenti con alimenti poco sani ma gustosi proposti in maniera indiscriminata, ciò crea un’irregolarità alimentare che diventa un’abitudine difficile da modificare;

In generale, possiamo dire che i bambini, dove sono assenti problematiche fisiologico-meccaniche o psicopatologiche gravi, non si lasciano morire di fame ma possono essere più o meno inappetenti in periodi più o meno lunghi dello sviluppo o in contesti di vita diversi. La preoccupazione eccessiva ha il solo risultato di incoraggiare l’inappetenza, per questo motivo è utile tentare altre strategie più funzionali, come quelle descritte sopra.
Dal punto di vista relazionale, le cose si complicano un po’, poiché entrano in gioco elementi soggettivi che probabilmente ci tramandiamo come un’eredità famigliare e sociale e di cui siamo poco consapevoli. Attribuire significati alla nutrizione è una condizione che riguarda la “normalità”, non la psicopatologia, quindi ognuno di noi ha una sua modalità per approcciarsi all’alimentazione.

I significati più comuni sono:

– il cibo ha un valore affettivo, quando preparo il cibo e lo porto in tavola “dono” una parte di me e il suo rifiuto è come rifiutare me come persona;

– l’alimentazione consola, spesso proponiamo il cibo più appetitoso per consolare il bambino o per premiarlo;

– il cibo può diventare il mezzo per ottenere attenzioni, se ci si preoccupa per l’inappetenza allora il bambino si sente più “guardato” e curato, di conseguenza per avere più attenzioni può ricorrere all’inappetenza;

– il rifiuto del cibo può essere il modo attraverso il quale il bambino esprime i suoi “No” all’adulto per farsi spazio verso l’autonomia;

– etc.

I significati che attribuiamo all’alimentazione possono diventare problematici quando innescano degli schemi comportamentali rigidi per cui quel particolare significato è l’unico modo possibile per approcciarsi al cibo. Quando questo accade, ve ne accorgete perché vi sembra di vivere sempre la stessa scena di fronte al pasto, cosa che magari non capita in altri contesti o con altre persone. L’unico modo per uscire da questo circolo vizioso è introdurre delle varianti, insolite e curiose che rompono l’equilibrio negativo creatosi. Il passo successivo è fermarsi a riflettere sui motivi che vi hanno portato fin lì per non ripeterli.
Fisico e relazionale sono due aspetti della stessa problematica, per questo tendono a sovrapporsi e ad influenzarsi a vicenda in un intreccio psicologico non sempre facile da sbrogliare. Il sostegno psicologico di un esperto può aiutare a fermarsi, a riflettere, capire e trovare strategie adeguate alla situazione specifica.

Per appuntamenti  con la dottoressa Francesca Santarelli, o info, potete visitare il sito Internet del suo studio: www.studiosantarellidecarolis.com 

 

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