Ad inventarsi una nuova professione, mettendo da parte quella che già aveva come farmacista, è stata Jolanda Restano. Mamma di tre figli, si definisce su Facebook “il datore di lavoro di se stessa, il che, va detto, è comodissimo!”
Energia da vendere, tante idee e tanta buona volontà: con questi ingredienti Jolanda dal nulla ha creato un impero… virtuale!
Rossella Martinelli l’ha intervistata per noi:
“Tutte le storie sono il risultato del sottile intreccio di una serie di “se”. Come quella di Jolanda Restano, madre di Matilde, Tommaso e Aurora (nell’ordine: 15, 13 e 8 anni), nonché Re Mida di internet declinato in chiave mamma. Perché se Jolanda – laureata in farmacia e rigorosa ricercatrice all’istituto Mario Negri – non avesse dovuto seguire il marito in Sardegna in quella torrida estate del 1995, ritrovandosi un sacco di tempo libero e un PC come compagno per scacciare la noia, non avrebbe scoperto la rete. Se non avesse dato alla luce Matilde, nel 1999, non avrebbe scoperto di non sapere nemmeno una filastrocca e, di conseguenza, non si sarebbe mai sognata di aprire il cliccatissimo Filastrocche.it. Se, rientrata al lavoro, non le avessero negato il part time, non avrebbe avuto il coraggio di mollare un comodo posto fisso per inventarsi una professione legata al web, quando ancora internet era una piazza poco affollata.
Ecco: se tutto ciò non fosse avvenuto, oggi Jolanda non sarebbe la fondatrice anche di Mammacheblog, Mammacheclub, Blogmamma, né delle agenzie Jop e Fattore Mamma. Per scoprire qualcosa in più di questa favola ai tempi del www, ho pensato di farle qualche domanda.
Lavorare da casa e in rete ha come vantaggio la flessibilità, che diventa spesso anche un’arma a doppio taglio, perché un sito non può mai essere trascurato. Come concili la gestione dei tuoi figli virtuali e di quelli reali?
“All’inizio non è stato semplicissimo, perché effettivamente la flessibilità è rischiosa: è comoda, ma capita di non essere prese sul serio dai clienti, ai quali potevo sembrare la classica casalinga che si improvvisava un lavoro; così come, considerato che scrivevo da casa, era facile cedere alla tentazione di infilare tra una cosa e l’altra una lavatrice o la spesa. Quindi mi sono data subito delle regole e non mi è costato fatica: le filastrocche per me erano una vera passione e non mi staccavo mai dal computer. I primi tempi Filastrocche.it si è rivelato un buco nero, ma poco a poco ha iniziato a funzionare e la mole di lavoro è cresciuta. Per riuscire a stare dietro a tutto mi sono data dei limiti: per i miei figli ho scelto le scuole del quartiere, non quelle bilingui, così come le attività pomeridiane si svolgono tutte nell’ambito di 300 metri da casa. Se non hai una nonna vicina che si presta per fare da taxi, oppure una baby sitter, devi per forza rinunciare a qualcosa”.
I tuoi figli seguono i tuoi blog?
“Sì, hanno sempre partecipato e collaborato a modo loro: se, ad esempio, avevo bisogno della foto di una bambina che leggeva da mettere a corredo di un pezzo, chiedevo a Matilde di posare. Così come hanno sempre preso parte agli eventi correlati: sono una generazione digitale. Con i primi due siamo amici su Facebook, mentre la piccola ha solo Instagram. Tengo sott’occhio le loro attività sui social, anche se sanno bene come aggirare i controlli”.
Hai posto dei limiti di tempo al loro utilizzo di internet?
“No, perché sanno come regolarsi. Tommaso usa la rete per giocare, mentre per le ragazze è il modo di comunicare con le amiche, organizzare pizzate e via dicendo. Quando avevo la loro età mio papà mi rimproverava se stavo a lungo al telefono: ora i vari gruppi su Facebook o Whatsapp sono un po’ la stessa cosa, ma si avvalgono di un mezzo diverso. Per le nuove generazioni digitale e reale non sono due mondi diversi, bensì la stessa cosa”.
Hai spiegato loro i pericoli della rete?
“Certo, ed ho tenuto dei corsi anche nelle loro scuole. Se nessuno glielo dice, i ragazzi non possono sapere che caricare online la foto di un’amica in una posa buffa non va bene. Ho spiegato a Tommaso che se mette la foto della sua scuola con sotto scritto “oggi non voglio andare a lezione”, per il 90% delle persone non ci sarà nulla di male, ma per i malintenzionati significa “Pinco Pallino va nella tal scuola”. I genitori sbagliano nel vietare ai figli di iscriversi ai social – considerato che va a finire che aprono comunque dei profili con nickname falsi finendo nei pasticci – oppure, al contrario, nel consentire un utilizzo smodato. Dobbiamo dare delle regole, ma anche la scuola deve essere meno manchevole”.
Quale è il segreto per creare un blog di successo?
“È importante avere qualcosa da dire – perché è ovvio che se parli solo della cacca o del dentino finisce che ti seguono solo i tuoi familiari – e saperlo raccontare in maniera coinvolgente ed ironica”.
E per far aumentare i click?
“Non si prescinde dalla qualità dei contenuti. E, poi, suggerisco di commentare altri blog di mamme, condividere su Facebook i nuovi post e, magari, mettere a corredo qualche bella immagine da postare su Instagram o Pinterest. Si può anche chiedere uno scambio di link alle mamme che seguono lo stesso filone: ci sono quelle green, che pubblicano le proprie ricette oppure mostrano i lavoretti che realizzano. Conta anche l’attività di SEO, perché titoli mirati e accattivanti fanno impennare i click”.
Cosa ne pensi della nuova tendenza che vede le donne dello spettacolo aprire blog dedicati alla maternità?
“Penso che la maternità sia un’esperienza che sconvolge la vita delle persone normali: figurati la loro! Non so se dietro ai blog ci sia realmente il desiderio di condividere esperienze e informazioni o sia un modo per ottenere visibilità, ma a prescindere non ci trovo nulla di strano. Tanto più che all’interno della popolazione di internet le mamme sono quelle più attive: perché la rete ti dà risposte, consigli o anche solo la pacca sulla spalle che cercavi. Il web è uno strumento che ci aiuta davvero”.
Le mamme internettiane sono cambiate dal 1999, anno di fondazione di Filastrocche.it ad oggi?
“No: semmai si sono fatte più furbe ed hanno capito che la rete è una risorsa. I medici si arrabbiano quando una paziente googla, pensando sia quasi un voler sostituirsi a loro: invece è giusto informarsi ed avere una maggiore consapevolezza delle cose. Un proverbio cinese dice che per allevare un bambino serve un intero villaggio: ecco, in tempi in cui le nonne vivono altrove è importante potersi confrontare con qualcuno che ti racconti la sua esperienza. Perché su internet troverai sempre una persona cui è successa la stessa cosa che è capitata a te. Certo, bisogna fare attenzione e metterci la testa, non seguire l’onda”.
In tanti anni di raccolta di filastrocche e ninne nanne ti è mai capitato di ricevere la mail di qualcuno commosso per aver ritrovato le rime della sua infanzia?
“Eccome: non immagini quante mail ho ricevuto da parte di gente che mi ringraziava per aver ritrovato il testo della filastrocca che sentiva raccontare alla nonna. C’è chi aggiunge: “l’ho letta alla nonna che, sentendola, si è messa a piangere”. Oppure un lettore mi ha ringraziato per aver ricostruito il testo de “L’orfanella”: una storia tristissima, che è stata ricomposta con il contributo di tanti utenti. Ognuno, di volta in volta, ricordava una frase. Ed è una sensazione meravigliosa poter regalare a qualcuno un ricordo che si stava sbiadendo”.
A una mamma cui viene negato il part time consiglieresti di buttarsi così come hai fatto tu 15 anni fa?
“Sconsiglio di tentare una nuova avventura se non si ha un’alternativa concreta. Quello che raccomando di cuore è, semmai, di non smettere mai di combattere, tenendo conto delle tante risorse che ha una mamma: basta pensare a quante cosa si facciano in un’ora prima di avere figli e quante se ne facciano dopo! Abbiamo capacità incredibili e possiamo trovare nella rete anche un’alleata lavorativa: soprattutto attraverso Linkedin, che le mamme non calcolano molto, ma invece è molto adoperato dalle aziende alla ricerca di personale. Il web serve per tessere relazioni, anche professionali, e nonostante il periodo sia molto duro le occasioni arrivano… basta farsi il mazzo!”.