Così, con questo fiume di domande mi ha accolta ieri pomeriggio Marco quando sono tornata a casa.
“La maestra ha detto che devo tirare le orecchie a nonno Angelo (alias il marito della nostra babysitter) perché non mi ha portato al cinema a vedere “La chiave di Sara” (avevano trasmesso questo film nella sala cinematografica di un centro anziani dove ogni tanto il nonno porta Marco). Sai mamma la maestra ha detto che oggi è il giorno della memoria, ma io come faccio a ricordare se queste cose non le so?”
“Hai ragione amore mio”, gli ho risposto prendendo tempo. E tra me e me mi chiedevo: “Come faccio a spiegargli certe cose così assurde! Ho 40 anni suonati e ancora fatico io a comprendere. Come può un’anima innocente come la sua capire l’atrocità di queste azioni che non hanno neppure una spiegazione plausibile? Posso dirgli che è solo frutto della follia assurda di alcuni uomini?”
Ero ancora assorta nei miei pensieri, cercavo una risposta sensata, quando ho sentito Marco che mi diceva: “Mamma, lo sai che portavano i bambini in alcune stanze e poi gli facevano la doccia? Ma non era una doccia vera, era una doccia di gas”.
In quel momento ho capito che lui stava ripetendo quanto aveva sentito a scuola. Era incuriosito dalla storia, come se fosse una favola strana, macabra. Un film. Ma non aveva minimamente capito la gravità della cosa.
Ero in difficoltà.
Da dove dovevo cominciare? Ho pensato che se ci fosse stato mio marito sarebbe stato tutto più semplice. Lui è un bravissimo narratore, proprio come sue padre.
Avrebbe trovato esattamente le parole giuste.
Io arrancavo. Ho abbozzato una storia, partendo dalla follia di un uomo che si chiamava Hitler che voleva per la sua nazione una razza pura.
Non voleva contaminazioni che per lui erano gli ebrei, gli zingari, i malati di mente.
E per questo aveva costruito delle fortezze, lager, e li aveva rinchiusi tutti lì.
Li costringeva a lavorare notte e giorno senza neppure dargli da mangiare a sufficienza. E quando non erano più in grado di produrre, perché malati, denutriti, allora li lasciava morire.
Allora mi ha guardata e mi ha detto: “E i bambini? Lavoravano pure loro?”
Che potevo rispondergli? Che li ammazzavano perché esseri inutili?
Sei anni. Marco ha solo sei anni, non è troppo piccolo per il giorno della memoria?
Per fortuna che il pianto di Luca, febbricitante e pruriginoso per la varicella, ha distolto la sua attenzione.
E’ corso dal fratello dimenticandosi della domanda. E io ho lasciato cadere la cosa.
Non ho ancora una risposta. Ma credo che gli farò vedere “La vita è bella” di Roberto Benigni.
E solo dopo gli racconterò di Anna Frank… e di quanto ho pianto leggendo il suo diario e i libri di Primo Levi.