Viva la Mamma

L’istruzione della famiglia conta più o meno della ricchezza?

L’istruzione delle famiglie conta molto di più del loro livello di ricchezza sulle parità di chance scolastiche dei loro figli.
Insomma i soldi non comprano la cultura e lo studio. E’ quanto è emerso da un recente studio condotto in Gran Bretagna dall’Istituto di Istruzione (OIE).
La ricerca ha coinvolto oltre 17mila cittadini britannici seguiti nei loro studi fin dal 1970. Il risultato? “Avere a disposizione in casa libri da leggere, giornali da sfogliare, musica da ascoltare e film da visionare migliora i risultati cognitivi dei bambini. Più di quanto possano fare le disponibilità finanziarie e materiali di mamma e papà”.

E i voti a scuola sono significativamente migliori per i bambini che leggono le storie la sera con i genitori fin dai 5 anni.

Non c’è ricerca e non c’è risultato che mi trovi più d’accordo.

Ho sempre amato la lettura, ma a casa mia, purtroppo, non c’è mai stata la cultura.
Mamma da piccola mi raccontava tante storie, anche popolari, fiabe antiche, filastrocche (che tutt’ora ricordo), ma non si sedeva accanto a me sul divano a leggere i libri.
Non aveva il tempo, ma soprattutto non c’era la mentalità.
Per lei, per come è stata educata a sua volta, perdersi nella lettura equivaleva quasi a poltrire.
Nel tempo libero (se così si può chiamare) preferiva ricamare, cucire, lavorare a maglia, all’uncinetto.
Lei, mia mamma, ha sempre avuto le mani d’oro.
Ha cercato, invano, di trasferirmi tutto il suo sapere, la sua manualità. Ma a me, sin da piccola, piacevano i libri.
Mi piaceva il profumo della carta, mi sentivo attratta dalle figure, mi immaginavo le storie.
E appena sono stata in grado di leggere da sola, non mi sono mai più fermata.
Ma non è stato semplice, né facile. Dovevo comunque dare una mano in casa, al negozio, imparare a lavorare a maglia e all’uncinetto.
Quando si cresce in un ambiente dove dalla mattina alla sera si respira aria di lavoro, dove si parla di vendite, di acquisti, rimane poco spazio per tutto il resto.
Vedevo la differenza che c’era tra me e le mie compagne che avevano i genitori “insegnanti” o comunque con degli studi alle spalle. Loro sapevano già. Erano già andate a musei, avevano già fatto viaggi, avevano letto libri o comunque, di qualsiasi argomento si trattasse, ne avevano sentito parlare a casa.
Io, invece, sapevo far di conto, conoscevo abbastanza bene le dinamiche commerciali e come trattare i clienti. I miei genitori, lo avrete capito, erano entrambi commercianti. Mia madre aveva un negozio di abbigliamento e lingerie per donna e papà un negozio di articoli sportivi e armeria.
Sapevo individuare la taglia di reggiseno di tutte le donne che varcavano la soglia del negozio. E passavo i sabato dietro al bancone vendendo un po’ gonne, maglioni e culottes, un po’ cartucce, skateboard, tute da ginnastica e pallottole.
Ma ignoravo tutto il resto.
C’era un gap difficile da colmare. E nonostante tutto il mio impegno e lo studio, tante lacune sono rimaste.

Il background che ti dà la famiglia è fondamentale per lo sviluppo di un bambino. E io l’ho sperimentato sulla mia pelle.
Per carità, sono felice di essere cresciuta in una famiglia unita come la mia, dai profondi valori. E non ho nulla da rimproverare ai miei. Anzi, li ringrazierò per sempre. Non avrei potuto desiderare di meglio. Si sono sacrificati molto per permettermi di realizzare i miei sogni.

Uno dei momenti più felici della mia vita? Il giorno della laurea, dopo aver discusso la tesi, uno dei prof. della commissione si alzò e venne da me per congratularsi. Gli era piaciuta molto la tesi. Mio padre vide la scena, si avvicinò. Aveva gli occhi lucidi. E successivamente, quando mi fecero indossare la toga per la proclamazione, pianse.
E’ stata una delle poche volte in cui l’ho visto piangere. E quelle erano lacrime di gioia, di felicità. Era orgoglioso di me.
Solo per questo viaggiavo tremila metri sopra al cielo. Poco m’importava del resto. E poco altro ricordo di quel giorno, perché ero molto stanca. Ma quello sguardo di papà è un marchio a fuoco, è rimasto impresso nella mia memoria, nel cassetto dei ricordi meravigliosi, e mi accompagnerà finché campo.

Ora che sono genitore, cerco di comportarmi in maniera diversa con i miei figli. Casa mia è invasa dai libri. Ed è l’unica cosa su cui cedo. Se Marco mi chiede un gioco sa già che la risposta è negativa. Ma se mi chiede l’ennesimo libro, non so proprio dire di no. Perché so per certo che dentro quelle pagine si nasconde un mondo da esplorare, un viaggio da fare insieme.

Noi passiamo tante ore sul divano a leggere storie e a sfogliare libri.
Non ci facciamo mancare musei, viaggi e laboratori.
Proprio qualche settimana fa, un sabato pomeriggio, ho portato Marco ad un laboratorio sui dinosauri. Con creta e gesso hanno realizzato un fossile.
L’organizzatrice ha fatto prima un’introduzione sull’argomento e poi ha fatto delle domande ai bambini. E ascoltare Marco, a sei anni, parlare di giurassico, triassico, cretaceo, di paleontologia, devo ammettere che mi ha fatto un po’ impressione!

Ha raccontato di quando ha fatto il paleontologo in un museo a Torino, di quando ha scavato nella sabbia con pennello e palettina trovando un fossile piccolo piccolo.
Tutto vero. Ma lo ha fatto due anni fa. Non pensavo neppure se lo ricordasse!

Che dire: non so come andranno a scuola, se riusciranno a cavarsela da soli nella vita. Io nel mio piccolo cerco di stimolare la loro curiosità e la loro fantasia.

 

 

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