Viva la Mamma

Le emozioni nei bambini: insegniamo ai nostri figli ad ascoltarle e ad affrontarle

Quante volte vi è capitato di sentir dire a vostro figlio “Mamma ho paura”, oppure “mi batte forte il cuore”.
Sono emozioni, un bagaglio di sentimenti di stati d’animo a volte positivi, a volte negativi, che i piccoli devono imparare a gestire.
Ma come? E noi come possiamo aiutarli? Ci spiega tutto la nostra Psicologa Amica, la dottoressa Francesca Santarelli.

“Felicità, rabbia, eccitazione, paura, piacere: quanti tipi di emozioni diverse si possono provare nella vita? E se, da grandi, si impara a controllarle e a non farsene travolgere, per i bambini sono non filtrate dalla razionalità e amplificate. Ecco perché i piccoli hanno bisogno di genitori che insegnino loro ad ascoltare e a prendersi cura delle emozioni come fossero un tesoro.

Le emozioni sono risposte adattative dell’organismo alle sollecitazione ambientali.

Sono segnali fisiologici, indipendenti dalla nostra volontà, che il corpo e la mente ci inviano per metterci in guardia da un pericolo, farci partecipare a qualcosa di bello o aiutarci a prendere una decisione. La paura, per esempio, è un’emozione importantissima perché serve a difenderci da una minaccia. .“Prendercene cura” fin dall’infanzia vuol dire crescere senza ritenerle scomode o sbagliate né soffocarle. Le emozioni sono come gli strumenti di bordo di un aereo: quanto meglio li conosco e sono in grado di usarle, tanto meglio posso guidare.

I genitori potrebbero approfittare del rapporto con i bambini per recuperare tutte quelle sensazioni che, con gli anni, le responsabilità e le eventuali delusioni della vita, sono state dimenticate o relegate in un angolino del cuore. È un’ottima palestra osservare con quanto stupore un bambino tocca o vede la neve per la prima volta, la gioia mista a trepidazione con cui scarta un regalo a Natale; la paura della maestra severa o la tristezza di restare all’asilo, lontano dalla mamma. L’importante è non sminuirle: a noi grandi possono sembrare piccole, per un bambino invece sono emozioni che possono lasciare il segno.

Crescere vuol dire anche imparare a modulare la propria emotività. Modulare, tuttavia, non significa soffocare. Se un bambino si sente ascoltato e compreso, non avrà timore a esprimere le proprie emozioni e, pian piano, imparerà anche a riconoscerle ed a padroneggiarle.

Il rapporto che noi grandi abbiamo con le emozioni dipende in gran parte da come si sono comportate le persone che si sono prese cura di noi nell’infanzia. È dalla culla che impariamo come la tristezza o la gioia producono delle reazioni: se queste sono incoerenti con il bisogno e lo stato d’animo espressi, si può creare un precedente che ci accompagnerà e condizionerà.

Per insegnare a trasformare un’emozione negativa in positivo bisogna consentire al bambino di esprimersi. Se è arrabbiato è giusto lasciarlo sfogare, ascoltarlo. Poi occorre cercare con lui una soluzione, per esempio aiutarlo a trasformare la collera (di per sé distruttiva) in determinazione.

E se c’è qualcosa che gli fa paura? Occorre insegnargli che, in certi casi, questa emozione è fondamentale per non incorrere in un pericolo. Mentre alcune paure, come quella del buio, possono essere affrontate ragionando. Basta accendere la luce per dimostrare che non ci sono minacce in agguato. L’importante è non giudicare questa emozione come un segno di debolezza, altrimenti il bambino crescerà con l’idea che sia qualcosa di cui vergognarsi».

– Cerchiamo di “rispettare” l’emozione del bambino, qualsiasi essa sia, anche se ci sembra esagerata ed incomprensibile. “Accogliamola” e rispettiamola.Se il bambino fa fatica a verbalizzarla, aiutiamolo noi, con parole del tipo “In questa situazione io mi sentirei…”; legittimiamo il suo modo di sentirsi, trasmettiamogli la nostra comprensione.

Stiamo attenti a non ridicolizzare o ironizzare sul bambino e sulla sua emozione. Cerchiamo, invece, di sdrammatizzare o di condividere con lui le nostre emozioni di quando eravamo piccoli, per farlo sentire maggiormente capito.

Stimoliamo le risorse del bambino e il fatto che le riconosca come tali: quante paure, ad esempio, ha già superato? Quante situazioni “difficili” è riuscito a gestire? Quali abilità ha usato? Quali può usare ancora? Quali risorse esterne (genitori, insegnanti…) possono aiutarlo? Esploriamo con il piccolo diverse soluzioni, individuiamo insieme ciò che può farlo stare meglio.

– Nel caso della paura, non obblighiamo nostro figlio ad affrontarla direttamente, ma rispettiamo i suoi tempi: tuttalpiù mettiamoci a sua disposizione come “aiutanti” ed “alleati” quando deciderà di confrontarsi con ciò che teme.

– Di fronte alla collera di nostro figlio non spaventiamoci né adiriamoci: è un’emozione “sana” che si genera di fronte ad una frustrazione. Cerchiamo allora di “rispettare” la collera e di comprenderla; ciò naturalmente non significa che dobbiamo annullare le cause che procurano la frustrazione. Piuttosto, convinciamoci che la frustrazione è inevitabile, ed inevitabile è anche la collera.

Anche la gelosia, soprattutto quando arriva un fratellino, è un’emozione assolutamente normale e determinata dall’angoscia di non essere più “l’unico figlio”. In questi casi, soprattutto il bambino piccolo può chiedersi se sarà ancora amato da mamma e papà: cibo e coccole, d’ora in poi, saranno riservati solo al nuovo arrivato? Anche in questo caso, vale naturalmente l’indicazione di comprendere l’emozione del bambino, riconoscerla e legittimarla. Oltre a coinvolgerlo nella cura del fratellino, facciamogli notare le caratteristiche e l’unicità del nostro rapporto con lui, determinate anche dalle competenze della sua età, diverse da quelle degli altri figli (“Con te il sabato andiamo al parco a giocare a calcio”, “Tu mi aiuti a cucinare la pizza…”).”

Per appuntamenti  con la dottoressa Francesca Santarelli, o info, potete visitare il sito Internet del suo studio: www.studiosantarellidecarolis.com

 

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