Viva la Mamma

Il gioco? Per il bambino è un’attività serissima, fondamentale per il suo sviluppo

I bambini, si sa, pensano sempre e solo al gioco. E un vecchio detto recitava “giocando s’impara”, ed è proprio così.
Giocando i bambini imparano a stare in comunità, imparano a rispettare le regole, imparano a vincere, ma anche a perdere. Crescono e sviluppano non solo il fisico, ma anche l’intelletto.
Insomma giocare per i bambini è una cosa seria.
Ma ci sono giochi migliori di altri? Ci spiega tutto la nostra Psicologa Amica, la dottoressa Francesca Santarelli.

“Studi scientifici ed evidenze empiriche hanno da tempo portato a considerare il gioco non più come un’attività poco rilevante, ma come una occupazione serissima per i bambini, anzi lo si può addirittura paragonare a ciò che il lavoro rappresenta per gli adulti.
Il bambino considera labile il confine esistente tra realtà e fantasia, tra serietà e finzione e gioca per il puro piacere di farlo, perché lo fa star bene, ma in realtà così si allena a diventare adulto, si prepara alla vita, sperimentando la complessità della realtà in una dimensione semplificata e protetta.

Tutti i genitori hanno, prima o poi, provato lo stress del giocattolo che il bambino piccolo lancia ripetutamente dal seggiolone, ma nessun gioco, in fondo, è scelto a caso. Il bambino si diverte a vedere la madre che lo raccoglie e glielo restituisce e, nel frattempo, sta imparando ad affermare la propria volontà e a manipolare gli oggetti, acquisendo padronanza sul mondo esterno (e spesso anche su chi lo circonda…!). Anche il gioco del “cucù” è importantissimo, perché rassicura i più piccoli che ciò che scompare anche temporaneamente dalla vista non è andato via per sempre (e ciò vale anche quando la mamma si allontana).

Per i bambini, giocare è quasi istintivo, un modo naturale di entrare in contatto con gli altri fin dai primi mesi di vita, quando, con sorrisini e gridolini, il neonato si agita in risposta alle moine amorevoli di chi se ne prende cura.

Il gioco allena l’immaginazione, la creatività, l’abilità manuale, l’ingegno, l’attenzione e anche il linguaggio. Favorisce una crescita armoniosa, perché aiuta a sviluppare abilità motorie e fisiche, ma anche intellettive, oltre ad avere una funzione strutturante dell’intera personalità.

I più piccoli non sono in grado di giocare veramente insieme ad altre persone. Il primo strumento di gioco preferito dai bambini è il proprio corpo, che si divertono a muovere, scoprendo con entusiasmo com’è fatto e imparando a distinguere il proprio essere dal mondo esterno. Poi, man mano, iniziano ad interessarsi anche a chi li circonda e agli oggetti che con curiosità toccano e portano alla bocca, per una conoscenza che risulta essere multisensoriale.
Solo verso i due anni di età, un bambino abituato a stare con altri bambini può iniziare a passare da un gioco cosiddetto “parallelo” ad un’iniziale interazione, anche se un vero e proprio gioco collaborativo sarà di solito possibile solo dopo i sette anni. Giocare insieme ai coetanei dà la possibilità di imparare il valore delle regole e del rispetto del proprio turno e degli altri e l’esistenza di un codice di comportamento (che va rispettato, se non si vuole essere isolati dal gruppo). Giocando, si impara a perdere e a capire che non sempre si riesce a fare le cose al primo tentativo, perciò bisogna avere pazienza e costanza. Si impara anche a conoscere le proprie potenzialità e i propri limiti, ad avere fiducia nelle proprie capacità e ad essere l’autonomo, ma anche a collaborare e a fidarsi degli altri.

Osservando un bambino giocare, si può conoscerlo meglio, perché attraverso il gioco il bambino esprime sé stesso, riuscendo ad elaborare e tirar fuori emozioni e sentimenti meglio e prima che a parole (rabbia, paure, angosce, ma anche sentimenti positivi) e manifestando anche tendenze, preferenze e inclinazioni. Con la “terapia del gioco”, infatti, si aiutano i bambini a superare blocchi emotivi e traumi, sfruttando la forte valenza simbolica che può assumere l’attività ludica.

Le paure e le difficoltà vissute, per esempio, durante un ricovero ospedaliero, si elaborano meglio e si ridimensionano se il bambino si improvvisa dottore e fa alla sua bambola delle siringhe, sentendosi padrone della situazione e non angosciosamente dominato dagli eventi e da persone sconosciute. Il gioco assume, dunque, una funzione catartica, perché aiuta a scaricare ansie, aggressività, paure e aiuta anche a canalizzare eccessi di energie”.

Per appuntamenti  con la dottoressa Francesca Santarelli, o info, potete visitare il sito Internet del suo studio: www.studiosantarellidecarolis.com

 

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