Con Marco ogni giorno è una lotta: al mattino non vuole mangiare, a pranzo non ha tanta voglia, la sera è stanco. Insomma ogni scusa è buona pur di non mandare giù neppure un boccone.
Ma cosa possiamo fare? E’ meglio insistere? Lasciar perdere? Oppure?
Io, personalmente, penso di averle provate tutte: ho cambiato menu, ho cucinato le pietanze più invitanti, ho urlato, ho minacciato punizioni, ho imboccato, ho provato a lasciar perdere, ho provato a spiegare, a parlare, a raccontare. Non vi dico il mio stato d’animo!
E alla fine, presa dallo sconforto ho chiesto aiuto alla psicologa amica, la dottoressa Francesca Santarelli.
Ecco cosa ci consiglia:
“L’ansia che il proprio figlio non si nutra a sufficienza appartiene a tutte la mamme, tanto che la presunta inappetenza è il problema che porta dai pediatri il 50% dei bambini.
Ma spesso ci dimentichiamo che ogni bimbo ha un proprio stile alimentare che deve ancora conoscere e sperimentare e che troppo volte viene “deviato” dalle ansie e da comportamenti “protettivi” da parte degli stessi genitori che si allarmano enormemente se il loro piccolino non mangia quanto secondo loro dovrebbe fare.
Il cibo per ognuno di noi, è stato il primo canale di comunicazione con il mondo esterno e con la figura di accudimento, tanto che la relazione madre-bambino, per molto tempo ruota esclusivamente intorno a questo momento così delicato.
Ma è proprio fin dalle prime interazioni di questo tipo che nel bambino si cominciano a formare psicologicamente gli schemi del significato del cibo stesso.
Mi spiego meglio: provate e pensare a che differenza si viene a creare nella testolina di un bebè che viene allattato in condizioni di stress psicologico della mamma (che può essere nervosa, triste, arrabbiata, preoccupata, frettolosa) o del contesto che lo circonda (tante persone intorno, chiasso, fretta, confusione, ansia) rispetto a quello che, fin dalla nascita, riceve il latte da parte di una mamma serena, tranquilla e rilassata che si dedica a quel momento come un “rituale” da rispettare con devozione!
Questo vale anche per i bambini piu grandicelli e naturalmente va di pari passo con lo stile, l’educazione e il significato che gli stessi genitori (specie la mamma) hanno interiorizzato a loro volta riguardo la tematica “cibo/alimentazione”.
Attraverso il cibo infatti, passano tante emozioni e credenze che spesso hanno a che fare con quest’ultimo aspetto, ma è molto piu facile concentrarsi sul problema che “mio figlio non mangia”! “E allora?”
Chiedo spesso in terapia a mamme un po’ allarmate….”Mi spieghi meglio quali sono i suoi pensieri e timori rispetto a questo comportamento del suo piccolo?” (quando naturalmente dal punto di vista medico/pediatrico sia tutto apposto). E spesso si apre il vaso di pandora….e si capiscono tante cose!
Tante altre volte sono gli stessi atteggiamenti ansiogeni ripetuti nel tempo che invece innescano un circolo vizioso di questo tipo e che rendono il momento di andare a tavola un vero e proprio incubo!
Il fatto che il proprio bimbo faccia fatica a mangiare è in grado di generare ansia nella neo-mamma e pensieri negativi circa la propria capacità di accudire, nutrire e più in generale di prendersi cura della propria creatura.
Conseguenti vissuti di natura depressiva, sentimenti di colpa e irrequietezza inevitabilmente vengono trasmessi al piccolo che inizierà a vivere un momento fondamentale della sua esistenza psico-fisica come occasione di sperimentare tensione e disagio.
E’ naturale che il bambino cerchi di sottrarsi ad una esperienza diventata poco piacevole e gratificante, iniziando a rifiutare il latte e successivamente l’alimentazione in generale. Questa reazione innesca un circolo vizioso senza interruzione nel quale il cibo diventa ossessivamente il pensiero dominante della giornata e unico canale di comunicazione affettiva tra il bambino e la sua mamma.
Intorno al tema “cibo” si intrecciano punizioni, minacce, preghiere, strategie ludiche di distrazione messe in atto da genitori disperati nell’unico, ingenuo, tentativo di far mangiare il figlio. Naturalmente l’obiettivo sperato e atteso di far mangiare il bambino non si realizza anzi, l’effetto di tanta attenzione e preoccupazione intorno al piccolo non fa altro che rinforzare il suo comportamento di rifiuto del cibo e di sfida nei confronti dei genitori. Quale bambino rinuncerebbe a tutte quelle attenzioni e al “godimento” di tenere in pugno mamma e papà?
MODIFICARE IL CONTESTO
Per uscire da questo circolo vizioso è necessario modificare il contesto, un contesto fatto di comportamenti, emozioni, sentimenti e pensieri. In cibo non deve essere protagonista tiranno della scena ma piacevole elemento che accompagna esperienze emotivamente gratificanti. Il pranzo e la cena devono trasformarsi in momenti di condivisione, di confronto, di scambio di parole, affetti e reciproche attenzioni tra i membri di una famiglia. All’interno di questo nuovo contesto il cibo assumerà un significato diverso, libero da vissuti negativi e persecutori.
NIENTE TV E GIOCHI A TAVOLA
La convivialità dovrebbe essere un aspetto importante del mangiare, almeno quanto il nutrirsi; quando si mangia i giochi e le distrazioni dovrebbero essere lasciati da parte. Se il bambino ha bisogno di alzarsi occorre evitare di seguirlo con il cibo: il luogo e il momento per mangiare deve essere a tavola.
L’atto di mangiare va restituito alla normalità, senza enfatizzare o drammatizzare il momento del pasto: presto così il bambino riprenderà piacere alla tavola e al clima sereno ristabilito intorno al desco familiare. Il pasto deve essere un’occasione di relax e di condivisione, non deve trasformarsi in un’occasione di conflitto. E’ importante sdrammatizzare l’alimentazione, che non deve essere solo una necessità, ma anche un piacevole momento di gioco.
Preparare insieme le pietanze, inventare delle ricette, usare tutti i sensi per apprezzare gli alimenti, sono tutti modi per rendere più appassionante l’alimentazione.
NO AI RICATTI AFFETTIVI
Mai fare ricatti affettivi: “Dai, se mangi la mela la mamma è contenta”, “Su, lo sai che la mamma piange se non mangi la minestra”. Oltre ad essere inutili, alimentano il senso di colpa del bambino e rafforzano un’equivalenza distorta tra cibo e affetti.
Evitare anche di distrarre il bambino con giochi e teatrini di ogni genere, perché il piccolo deve essere consapevole del momento del pasto. La replica abituale del genitore è: “Eh, dice bene lei, ma guardi che se non facciamo così non mangia niente!”.
Questo può anche essere vero per i primi due giorni, quando il bambino, ormai piccolo despota, alza la posta in gioco per fiaccare i genitori sul loro punto debole (il terrore che muoia di fame), certo della loro resa.
Ma se i genitori restano fermi e convinti del proprio comportamento, il bambino si adegua in fretta e mangia assecondando la propria fame, senza bisogno che i genitori si sfiniscano in estenuanti sedute degne di animatori professionisti.
IL CIBO NON E’ UN PREMIO
Il cibo, poi, non deve essere ne un premio, ne una punizione, altrimenti diventa materia di contratto. Una sana indifferenza al rifiuto di mangiare del bambino (“Va bene, non è una tragedia, mangerai stasera”), praticata non come castigo e con rancore, ma molto serenamente come rispetto della libertà del bambino, è molto piu utile di tante teorie e consigli psicologici credetemi!
Lo so, di situazioni ce ne sono varie ed è difficile esaurirle tutte in questo luogo senza riuscire quasi a scrivere capitoli e capitoli, e purtroppo quello che posso fare è davvero una panoramica generale, ma spero che comunque ognuna di voi possa trovarci uno spunto di riflessione e magari, nei prossimi post, possiamo approfondire situazioni piu specifiche sull’argomento”.