A loro avviso lo studio dei ricercatori inglesi, che promuove l’introduzione di nuovi alimenti già al quarto mese di vita del bambino, non è del tutto attendibile. E ricordano che l’OMS (organizzazione mondiale della sanità) promuove a gran voce l’importanza dell’allattamento esclusivo fino al sesto mese di vita del bambino.
Ecco i motivi per il quale il pezzo del British Medical Journal secondo Ibfan e Mami “fa acqua” (riporto di seguito integralmente il testo dell’Ibfan e del Mami):
“• È presentato come un “nuovo studio”, cosa che non è, trattandosi semplicemente dell’opinione personale degli autori sulla base di una loro lettura di articoli già pubblicati da molti anni. Autori che tra l’altro non dicono come hanno scelto gli articoli che discutono, di che qualità siano, e quanto siano solide le rispettive argomentazioni.
• Tre dei quattro autori dell’articolo, Mary Fewtrell, Alan Lucas e David Wilson, dichiarano di aver ricevuto finanziamenti da industrie di alimenti per l’infanzia, non per questo articolo ma per altre loro ricerche ed attività. Questo non li rende certo al di sopra di ogni sospetto.
• Gli autori non mettono in discussione la superiorità dell’allattamento al seno rispetto all’alimentazione artificiale, né la raccomandazione di continuare ad allattare anche dopo l’introduzione di alimenti complementari, fino a 2 anni ed oltre come dice l’OMS, o fino a quando madre e bambino lo desiderino come dice il Ministero della Salute. Gli autori mettono solamente in dubbio l’età media di introduzione dei primi alimenti in un bambino allattato al seno. Affermano che la raccomandazione dell’OMS (6 mesi) si basa su poche certezze: 18 studi, tra i quali solo 2 controllati e randomizzati, cioè del tipo che offre maggiori certezze. Ma nel mettere in dubbio le prove fornite dall’OMS gli autori citano una quindicina di articoli pubblicati dopo il 2001, cioè dopo le raccomandazioni dell’OMS, nessuno dei quali però offre maggiori certezze rispetto ai 18 studi citati dall’OMS. Anzi, molti di questi studi sono più deboli dei precedenti, ed alcuni portano addirittura acqua al mulino dell’OMS.
• Gli autori citano poi, scorrettamente, due studi controllati e randomizzati tuttora in corso in Gran Bretagna, quasi a dimostrare che, se si fanno questi studi, è perché ci sono dubbi sulle raccomandazioni OMS. Ma non ha senso citare studi non ancora conclusi né pubblicati a sostegno delle proprie opinioni, dato che non si sa nemmeno a quali conclusioni porteranno.
• Senza portare nessuna prova, l’articolo suggerisce che una ritardata (a 6 mesi) introduzione di alimenti complementari potrebbe favorire l’obesità. Secondo gli autori, è meglio anticipare l’assaggio di nuovi sapori, soprattutto quelli amari tipici delle verdure, per abituare il bambino ad apprezzarli e gradire quindi, più avanti con l’età, una dieta variata. Gli autori si dimenticano di dire che il bambino allattato al seno (e prima ancora durante la gravidanza) ha già sperimentato tutti questi sapori, che passano nel latte materno (e nel liquido amniotico). Inoltre l’obesità potrebbe essere dovuta a fattori indipendenti dall’allattamento e dalla sua durata: il rischio legato ai cibi spazzatura e alle bibite zuccherate (prodotti dalle stesse multinazionali che producono cibi per l’infanzia) è noto da molti anni!
• Portando a sostegno delle loro tesi articoli che in originale presentano già i loro risultati come preliminari e bisognosi di conferme, gli autori suggeriscono anche che una ritardata (a 6 mesi) introduzione di alimenti complementari potrebbe favorire l’insorgere di allergie e celiachia. Si tratta solo di ipotesi. La Società Europea di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica aveva già discusso l’ipotesi della celiachia alla fine del 2009 ed aveva considerato le prove disponibili insufficienti a fornire certezze. Quanto alle prove riguardanti le allergie, si tratta pure in questo caso di ipotesi, legate del resto al fatto che tuttora si ignora l’origine delle allergie.Articoli come quello britannico hanno l’unico risultato di creare confusione nei genitori e con ogni probabilità vanno a vantaggio solamente di chi produce alimenti per l’infanzia, dato che permette di guadagnare una considerevole fetta di mercato, cioè quella dei bambini tra i 4 e i 6 mesi.
I giornalisti e i media dovrebbero approfondire in maniera indipendente da altri interessi l’argomento, prima di contribuire ad aumentare la confusione.”