Una Iena di papà, l’intervista a Matteo Viviani

Finora abbiamo dato spazio alle mamme. Questa volta, invece, abbiamo deciso di intervistare un papà!
Chi? Matteo Viviani, una Iena di papà.

Ecco cosa ha raccontato a Rossella Martinelli:

“Lo ammetto: sono mammocentrica. Sono di quelle che pensano che tutto il peso dell’universo infantile gravi sulle nostre spalle e, se mi focalizzo sui momenti duri dei miei primi 15 mesi da mamma ripenso – nell’ordine – alle urla disumane lanciate in sala parto, alle notti insonni, alla febbre a 39,5 regalo dei dolorosissimi ingorghi quasi degenerati in mastiti. Ma basterebbe spostare appena appena la testa, cambiare il punto di vista, per realizzare una cosa: che in sala parto, mentre mi sentivo un bue squartato, c’era lui accanto a me, ad accarezzarmi la schiena e ripetermi “Tieni duro”; che quella volta che alle 3.45 del mattino la bimba strillava ancora, lui si è palesato per darmi il cambio; che quando ero a letto paralizzata dal male e stordita dalla febbre, era lui a prendersi cura della creaturina sbraitante.
Ebbene sì: non ci siamo solo noi. La mamma è l’abbraccio ristoratore, il sorriso che riscalda, la voce che culla, l’odore di pelle che tranquillizza. Ma c’è anche il papà: quello i cui baci pungono, quello che ti porta a cavalluccio sulle spalle e che ti insegna cosa sia una palla, cosa significhi “gol” e come costruire la nave dei pirati dei Lego; quello che, se capita a lui vestirti, abbina il blu con il nero e un tocco di marrone e ti compra il berretto di una taglia in meno; quello che di fronte a un pannolino stracolmo di cacca vorrebbe chiedere l’aiuto del pubblico e che ti dà di nascosto tutti quei cibi spazzatura che la mamma tiene ben lontani dalle tue papille gustative. Quello che i primi tempi è un mix tra Pippo e Homer Simpson, ma che ti ama di un amore che credeva di non riuscire a provare e che vivrà tutto il resto della sua vita in funzione di te e della tua felicità.
I papà. Maria mi ha suggerito di dare voce anche a loro e non abbiamo avuto dubbi sul nome del primo da intervistare: la Iena Matteo Viviani, da 20 mesi orgoglioso genitore di Eva, avuta dalla bellissima moglie Ludmilla Radchenko (artista in ascesa: è appena stata tra le protagoniste di una mostra collettiva a New York). Un padre estremamente consapevole, partecipativo e che rifugge tutti gli stereotipi del papà-tipo che albergano nella mia testa.

I primi tempi i papà si sentono estromessi dal legame esclusivo mamma-bebè: le cose vanno peggio se la mamma parla russo?
“Mi chiedi come mi trovo ad avere a che fare con questo club di donne dell’ex Kgb? La realtà è che le due russe non mi hanno mai escluso o fatto sentire di troppo: anzi, da subito si è instaurato un clima di piena condivisione di tutto. E, poi, ho la fortuna che alcune delle paroline che Eva dice nella lingua della madre somigliano a quelle italiane: “papa” per papà e “mama” per mamma. Ludmilla le parla sempre in russo, così come sono in russo quei pochi cartoni che vede. Mentre al nido e con il papà sente parlare italiano. Prima che Eva nascesse, io e Ludmilla avevamo toccato argomenti insidiosi come la depressione post partum o la difficoltà di ritrovare una dimensione di coppia, ma sono rimasti solo teorici perché non abbiamo avuto di questi problemi”.

A 20 mesi i bambini restano ipnotizzati di fronte ai Teletubbies e Peppa Pig. Come vi regolate con i cartoni animati?

“Ovvio che la tv eserciti sui bambini un effetto placebo, quindi la usiamo con parsimonia: non deve essere una soluzione di comodo per permetterci di farci gli affari nostri o il modo di calmarla quando fa i capricci. Le consentiamo di vedere una mezz’oretta di cartoni la sera, quando mangia: per il resto, preferiamo interagire con Eva, parlandole e facendola giocare. Abbiamo assunto questa filosofia anche relativamente a tutto il resto: Eva sta nella sua culla da quando ha 5 giorni e a 10 mesi, quando Ludmilla ha smesso di allattare, è andata nella sua cameretta”.

Altra cosa tipica dell’età di Eva è l’attrazione fatale verso cellulari e tablet: tempo fa realizzasti un servizio che mostrava quanto dannose fossero le onde elettromagnetiche per il cervello.
“Eva ha la curiosità tipica degli altri nanetti pelati, ma sa bene che i nostri cellulari non vanno toccati né tantomeno avvicinati all’orecchio o usati come giocattoli. Ludmilla teneva sempre l’iPhone in modalità aereo quando allattava e, quando parliamo al telefono, usiamo solo le cuffie: sono piccole accortezze cui bisogna abituarsi”.

Un dubbio amletico che attanaglia ogni genitore è: vaccino sì, vaccino no. Cosa avete scelto?
Eva è stata vaccinata: esavalente e morbillo-parotite-rosolia. Abbiamo analizzato attentamente i pro e i contro, arrivando alla conclusione che sia meno rischioso essere vaccinati, se si confronta il tasso di mortalità di certe malattie con le conseguenze che vengono attribuite al vaccino. Abbiamo anche valutato che l’incidenza di autismo aumenta se esiste una familiarità: ma né io né lei abbiamo ereditarietà”.

Da iena ti trovi spesso a parlare di pedofilia, sia essa virtuale –nchat e social – o reale. Hai già pensato a come metterla all’erta senza creare terrorismo psicologico?
“Ritengo che la cosa migliore sia affidarsi al binomio comunicazione/complicità fra genitori e figli, nonché applicare la regola del non accettare caramelle dagli sconosciuti. Mi rendo conto che – quando sono un po’ più grandicelli di Eva, ma pur sempre piccoli – tendono a costruirsi un loro mondo parallelo fatto di fantasie e storielle alle quali, però, va sempre posta attenzione”.

Svezzamento e metodi educativi: avete scelto un approccio russo o italiano?
“In realtà l’introduzione degli alimenti funziona più o meno alla stessa maniera; la vera differenza con la cultura russa risiede nel fatto che loro tollerano meno i piagnistei e le mamme non tendono a elargire i “poverino qui, poverino là” se il bimbo fa i capricci. Dei piccoletti russi ammiro proprio l’educazione e il saper rispettare le regole”.

Chi vi ha aiutati con la gestione di Eva?
“Fino agli otto mesi abbiamo fatto da soli, poi ci siamo rivolti a una baby sitter. Ammiro Ludmilla perché ha lavorato fino a un attimo prima di partorire e ha ripreso quando la bimba aveva un mese: e mica per sei ore, perché lei da russa stakanovista lavora dodici ore filate. Portava Eva con sé in studio e si metteva all’opera sulle sue tele tra una poppata e l’altra. Parlo con mamme che hanno figli di un anno e mezzo e non accettano nemmeno i part time per non staccarsi da loro: questa, per me, è la mentalità lagnosa italiana”.

E per concludere: sul tuo blog (www.vitadaiena.it) hai condiviso un video molto toccante in cui ripercorri la gravidanza di Ludmilla e il primo anno di Eva. A un certo punto dici “prima della sua nascita mi chiedevo se sarei mai stato il padre che sognavo di essere”: la risposta?
“Un buon padre lo si vede dopo 20 anni, non dopo venti mesi. Non posso ancora darmi un voto, ma limitarmi a gioire del rapporto che ho con mia figlia e che si consolida di giorno in giorno. Ho una sola recriminazione da farmi: passo poco tempo con lei perché lavoro troppo. Cerco di compensare occupandomi di tutto: la vesto, la cambio, la lavo, le do da mangiare. Non mi piacciono i papà che vanno in crisi anche solo di fronte a un pannolino da cambiare”.

Rossella Martinelli

41 risposte a “Una Iena di papà, l’intervista a Matteo Viviani

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *